I bambini imparano prima a usare il cellulare e poi a camminare e a parlare. Nell’ultimo decennio non solo è diventato più comune esporre i più piccoli agli apparecchi tecnologici, ma si è anche abbassata l’età del loro utilizzo. Secondo gli ultimi dati della Società italiana di pediatria, in Italia il 72% delle famiglie nella fascia 0-2 anni utilizza dispositivi elettronici durante l’allattamento e i pasti dei propri figli. Già al disotto dei due anni, il 26% lascia che i figli li usino in completa autonomia, percentuale che sale al 62% per la fascia 3-5 anni, all’82% nella fascia 6-10 anni e al 95% tra gli 11 e i 15 anni.

La pediatra Tosi: «nessuna demonizzazione, ma attenzione ai rischi»

«Le tecnologie digitali non vanno criminalizzate – spiega Maria Teresa Tosi, pediatra faentina di famiglia –. Il punto è l’uso che se ne fa. Quello che manca in Italia è un insegnamento mirato per le famiglie». Mamma e papà spesso non sono consapevoli che un utilizzo precoce dei dispositivi digitali comporta rischi per la salute psicofisica. «Un uso smodato dei device inibisce la relazione e lo scambio con ricadute, a volte anche gravi, sul ritmo del sonno, oltre a irritabilità ed eccitabilità eccessiva. Ci sono poi malattie, come ad esempio l’epilessia, che possono venire accentuate, senza contare il distacco dalla realtà: spesso i bambini si dimenticano di mangiare», conclude Tosi. La società italiana di pediatria raccomanda di non utilizzare smartphone e tablet sotto i due anni, durante i pasti e prima di andare a dormire, limitare l’uso a un’ora al giorno tra i 2 e i 5 anni e due tra i 5 e gli 8 anni, non guardare programmi con contenuti violenti e non utilizzare telefonini e tablet per calmare o distrarre i più piccoli.

La psicologa: «I bambini non sanno regolarsi da soli»

«È come guidare una macchina senza patente – precisa Paola Babini, psicologa della Fondazione Marri-Sant’Umiltà–. I bambini non hanno gli strumenti cognitivi per autoregolarsi e un utilizzo scorretto del dispositivo influisce nella vita quotidiana: calo dell’attenzione, difficoltà di apprendimento, dipendenza, tanto per citare i meno pericolosi». Un eccessivo tempo di connessione può provocare problemi di comportamento, irritabilità, isolamento, scarso autocontrollo, ma anche danni fisici, con il rischio di problemi alla vista o all’udito. Eppure, aggiunge, Paola Babini «se ne parla ancora troppo poco». Sotto accusa anche i videogiochi non solo per i contenuti violenti, ma per gli incontri che si possono fare online. «In giochi apparentemente innocui si inseriscono spesso adulti. Per questo è fondamentale uno stretto controllo da parte dei genitori», aggiunge. I rischi non diminuiscono nelle fasce di età dei ragazzi più grandi.

Servono regole chiare e una formazione per mamma e papà

«Alle medie – spiega ancora Paola Babini – tutti i ragazzini dispongono di uno smartphone, ma a 12-13 anni non sono in grado da soli di gestire un tempo regolato. Questo significa che, abbandonati a loro stessi, nel pomeriggio si ‘perdono’ con inevitabili ricadute sull’apprendimento. Gli effetti, nel tempo, si vedono: sonnolenza, disattenzione, ridotta memoria di lavoro, ad esempio». Che fare allora? «Servono regole chiare, la verifica che le regole siano rispettate e, soprattutto, un modello di adulto non dipendente a sua volta dal dispositivo. Limiti e paletti della vita reale vanno ‘trasferiti’ anche sull’utilizzo dei dispositivi. Quello che è importante – conclude Babini – è porre dei limiti all’utilizzo e insegnare un uso corretto e consapevole, accedendo agli spazi positivi che la rete offre. Noi adulti dobbiamo fare proposte attive e non solo arginare ambienti negativi. È necessario pensare anche a una formazione specifica per i genitori, perché possano aiutare i propri figli nel mondo digitale».[

Barbara Fichera