L’inverno meteorologico è terminato il 29 febbraio. Un inverno che quest’anno si è fatto sentire ben poco. «È stato un inverno mite, nel trend degli ultimi 10 anni, caratterizzato da anomalie termiche significative e un regime di precipitazioni altalenante – spiega Roberto Nanni, tecnico meteorologo certificato e divulgatore scientifico Ampro Meteo professionisti -. Le temperature sono state costantemente al di sopra della media storica: dicembre ha registrato un surplus medio di più 3,0°C, seguito da gennaio con più 3,5°C e febbraio con un impressionante più 4,6°C. Le precipitazioni, sebbene nella media, si sono concentrate principalmente in alcuni episodi di forte intensità anziché distribuirsi uniformemente nel corso della stagione».

Roberto Nanni, meteorologo: “siccità atipica e forti perturbazioni si bloccano nel Mediterraneo”

Una tendenza legata agli anticicloni africani che interessano il Mar Mediterraneo. L’esperto sottolinea che si tratta delle due facce della stessa medaglia: «Da una parte abbiamo la siccità atipica, che negli ultimi anni ha interessato non solo l’Italia ma anche i territori del Mediterraneo occidentale. Dall’altra vi sono le forti perturbazioni, come nei giorni di fine febbraio, dovute al corridoio Atlantico. Queste perturbazioni rimangono sul bacino del Mediterraneo senza trovare via di fuga, perché bloccate da un muro di alta pressione ad est».
Nanni spiega che da alcuni anni, gli scienziati sono concordi nel riconoscere che il Mar Mediterraneo è un hotspot del cambiamento climatico. Gli hotspot sono quelle aree del pianeta dove, per ragioni soprattutto fisico-geografiche, ma anche umane, il global warming corre più veloce della media, con forti impatti sugli ecosistemi e sugli insediamenti della popolazione. «Il Mediterraneo è un’area particolare, perché racchiude diversi mari in un bacino semichiuso e perché segna il confine tra il clima temperato europeo e quello desertico del nord Africa. I fenomeni che si verificano sono dovuti al cambiamento nella dinamica della circolazione dell’aria nell’alta atmosfera, e ad un aumento della differenza di temperatura tra terra e mare». L’esperto prosegue: «In parole semplici, ci troviamo sempre più spesso in uno stato in cui sia la nostra atmosfera sia il Mare Nostrum vengono caratterizzati da un abbondante contenuto di calore e vapore acqueo, con situazioni completamente fuori dal comune rispetto all’andamento climatico stagionale. Proprio l’intreccio di questi fattori contribuisce ad aumentare le probabilità che eventi eccezionali possano amplificarsi diventando sempre più frequenti: passando quindi da un estremo all’altro».

In futuro ci sarà una maggiore oscillazione meteo tra estremi opposti

Sulle conseguenze che possono verificarsi in seguito a periodi siccitosi alternati a precipitazioni concentrate in pochi eventi piovosi, Nanni prende come esempio l’Appennino: «Le zone caratterizzate da terreno argilloso possono sopportare periodi di deficit idrico, ma se il terreno si satura a causa di forti piogge, possono generarsi ruscellamenti a valle e cedimenti del terreno. Inoltre, queste condizioni non favoriscono la ricarica delle falde acquifere che necessitano, nel semestre freddo, di un’infiltrazione lenta e costante».
L’esperto conclude: «Purtroppo questi fenomeni, con inverni miti, periodi siccitosi e precipitazioni insistenti, saranno sempre più frequenti. Sono tutti figli della stessa madre: il cambiamento climatico, che già è in atto. Siamo in un nuovo clima, differente dal passato. Dovremo fare i conti con lunghi periodi siccitosi, ondate di caldo, alternati a passaggi precipitativi abbondanti, anche con cambiamenti repentini, passando da raffreddamenti decisi con temperature sotto la media, denominati “fruste climatiche” che indicano l’oscillazione meteorologica tra estremi opposti».


Sara Pietracci