Valerio Ragazzini, faentino classe 1990, è una presenza importante nel panorama letterario faentino e non solo. Narratore, critico letterario, saggista, con il suo nuovo libro (La veglia dei corpi, Edizioni Tracce e Ombre) che verrà presentato venerdì 24 novembre, alle 18 alla Bottega Bertaccini Ragazzini ci consegna una raccolta di racconti su un mondo dell’immediato futuro, post esplosione, post catastrofe, post tutto. Uomini, cose, ambiente compiono una parabola verso lo sfacelo finale.

Intervista a Valerio Ragazzini: “Se guardo la società che ci circonda, mi sembra che l’uomo vi trovi sempre meno posto”

Cosa ti ha portato a scrivere La veglia dei corpi? Nasce dagli eventi drammatici e globali che hanno stravolto negli ultimi anni le nostre vite, come la pandemia?

Il libro raccoglie dei racconti che ho scritto nell’arco di alcuni anni e che hanno come sfondo comune un mondo apparentemente segnato da un’apocalisse, ma che così non è. Nei miei racconti non si è verificata nessuna vera catastrofe, ma è come se l’umanità fosse andata spegnendosi un poco alla volta, come una candela che brucia fino a che resta soltanto l’oscurità. Non ci sono riferimenti diretti a pandemie o guerre, ma sono sicuramente eventi nefasti che costituiscono una conseguenza del lento trascinarsi dell’umanità verso la fine.

Il libro presenta una raccolta di racconti legati all’immediato futuro, visto come qualcosa di minaccioso e che l’uomo non sarà capace di controllare. C’è qualche parallelismo con le atmosfere proposte al grande pubblico da note serie tv come Black Mirror, o simili?

Spesso si commette l’errore di imputare al genere distopico, fantascientifico o fantastico, una qualche volontà di predire o anticipare il futuro. Spesso queste forme narrative non fanno altro che parlarci della realtà che viviamo utilizzando una ambientazione o un lessico che ci permettano di rendere in modo più efficace certe impressioni. Se guardo la società che ci circonda, mi sembra che l’uomo vi trovi sempre meno posto. Nei miei racconti ho portato alle estreme conseguenze questa estraneità, così che il mondo appaia nero, senza vita, eppure ancora “in funzione”, con le sue logiche burocratiche, con i suoi rituali ormai svuotati. Se ci sono dei parallelismi con le serie tv, non lo saprei dire. Guarda poca televisione.

Fin dagli esordi la tua poetica ti avvicina al racconto fantastico e al surreale. Anche qui sei andato verso questa direzione?

Sì, poiché considero il racconto fantastico il migliore linguaggio a mia disposizione per poter esprimere certe sensazioni, e consente una maggiore libertà.

C’è qualche autore da cui hai tratto ispirazione per scrivere il tuo libro?

Credo che tutti gli autori che ci piacciono finiscano con l’influenzarci. Quando poi si scrive si cerca in sé stessi e non ci si accorge di aver preso ispirazione da qualche lettura in particolare. Però, se proprio dovessi dire un nume, Io amo molto Kafka e credo se ne possano rintracciare i segni.

valerio ragazzini

Qual è stata l’aspetto più difficile da rendere nel libro? O qual è stata la sfida più grande nello scriverlo?

Per quanto mi riguarda, alcune storie si manifestano già nella loro interezza, e in quel caso si tratta di lavorarci sopra; ma altre sono prima di tutto delle sensazioni, o dei sentimenti, e la difficoltà può essere quella di tradurre il tutto in una pagina scritta, in una narrazione che segua un filo logico. Questa difficoltà nasce dalla necessità di scrivere, che è poi necessità di comunicare.

E la soddisfazione più grande?

La soddisfazione è quando questa traduzione riesce, quando ti accorgi di aver trovato la giusta idea per poter mettere sulla pagina una sensazione.

C’è un personaggio del libro a cui sei particolarmente legato?

In uno dei racconti intitolato La torbiera dei miracoli ci sono un padre e un figlio, e il loro complicato rapporto fatto di silenzi, a cui si aggiunge una terza presenza. Il tema della paternità è uno di quelli che più mi sta a cuore.

C’è ancora speranza, proprio nella rabbia e nello sconforto alberga l’umanità

La veglia ci porta nel tempo dell’attesa, di una sorta di risurrezione dopo la notte. Nel mondo de La veglia dei corpi è possibile rintracciare qualche barlume di speranza?

Nonostante ogni cosa sia segnata dallo sfacelo, nonostante se ne possa ricavare, almeno inizialmente, un’impressione di totale pessimismo, in verità c’è un barlume di speranza. Se i racconti sono segnati dalla fine dell’umanità, la speranza è proprio sta proprio in quei gesti, in quelle azioni, anche piccolissime, che in qualche modo ti fanno dire “sono vivo!”. Si tratti del provare vergogna, rabbia o sconforto, si tratti di tentativi disperati, lì alberga ancora l’umanità.

Parlando invece di te come autore, anche per la letteratura nel suo complesso si va verso un futuro difficile, se non a una vera e propria catastrofe? Intelligenze artificiali che minano la creatività umana, sempre meno legame con il libro cartaceo, smartphone che veicolano sempre più forme di comunicazione visive e non letterarie… la creatività e i romanzi continueranno a esistere?

Secondo me più si parla di supporti tecnologici, più ci si allontana dal vero problema. Smartphone e intelligenze artificiali non hanno alcun potere creativo, poiché si tratta di un potere solo dell’uomo. Le macchine possono produrre, non creare. Il vero dramma risiede nel valore che diamo a questi prodotti anziché dedicarci all’arte e alla creatività. Questo avviene anche in letteratura: oggi le grandi case editrici pubblicano quasi esclusivamente libri prodotti, standardizzati, per poter raggiungere il più ampio numero di lettori e quindi di profitto; ma sono libri che non lasciano nulla, libri che perdono di valore dopo appena due settimane dalla loro uscita. Un tempo la letteratura la trovavi in bella mostra sugli scaffali delle librerie, oggi non è più così; la letteratura oggi richiede uno sforzo, bisogna andarla a cercare, stanarla. E questa ricerca può rivelarsi affascinante.

Samuele Marchi