Quando si legge la parola patrimonio, si pensa subito alla ricchezza di qualcuno. Quando si parla però di patrimonio artistico o naturale la ricchezza è di tutti. Lo scorso 19 settembre “i Fenomeni carsici e grotte nelle evaporiti dell’Appennino Settentrionale” sono stati riconosciuti Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco: tra essi la Vena del Gesso. Cosa c’è dietro questo riconoscimento e quanto vale la tutela di questo luogo? Ne abbiamo parlato con il professore Marco Sami, geologo e insegnante di scienze naturali all’Itip Bucci di Faenza, dagli anni ’80 curatore onorario delle raccolte geopaleontologiche del Museo Malmerendi.
Intervista al professor Marco Sami
Professor Sami, che cosa significa questo riconoscimento?
Sicuramente è un’opportunità culturale. Speleologi, naturalisti, geologi da tempo conoscono il valore di questi ambienti, ma spesso chi abita nel territorio non li conosce e sono ancor meno noti all’estero. Questo riconoscimento accende un po’ i riflettori sulla Vena del Gesso, anche in termini turistici. I siti Unesco in Italia sono tanti, in gran parte culturali, quelli naturali soltanto 5.
Come mai proprio i Gessi dell’Emilia-Romagna?
Quella della candidatura all’Unesco è una storia che inizia nel 2016 quando il prof. Paolo Forti, speleologo dell’Università di Bologna, ha avuto l’intuizione di proporre la candidatura delle sette aree carsiche della regione, dopo aver letto il documento Unesco sulla loro tutela; si notava che i siti carsici di rocce calcaree erano ben rappresentati, a differenza di quelli nelle grotte gessose o vaporitiche, poiché il calcare è molto diffuso (si pensi alle grotte più famose, come quelle di Frasassi), mentre il gesso è una roccia poco comune. Il fatto che sia stato concesso il riconoscimento Unesco a un altro sito italiano, considerando che l’Italia ne ha già moltissimi, è un’altra prova del valore di questo luogo. In Italia vi sono altri affioramenti gessosi, in Sicilia soprattutto, ma anche in Calabria e Piemonte. Questo è uno dei più importanti. Di certo il più studiato.
La Vena del Gesso: il sito gessoso più studiato al mondo
In che senso?
Sui gessi emiliano- romagnoli ci sono più lavori scientifici di quanti ve ne siano su tutti gli altri gessi del mondo: dietro c’è una tradizione scientifica che ha radici nel ’500, quando si iniziò a studiare il fenomeno, anche per influenza della vicina Università di Bologna, per poi arrivare a ’800-’900 e agli studi degli ultimi anni. Ad esempio, esistono ben quattro grandi monografie, di circa 700 pagine l’una, che descrivono interamente la Vena del Gesso: Brisighella e Rontana, Monte Mauro, Monte Tondo, Tossignano. Al centro la speleologia , ma si parla anche di botanica, zoologia, storia, botanica, aspetti etnografici e leggende su questi luoghi. Sono tanti gli studiosi locali che gratuitamente hanno preso parte a questo lavoro. Tutte queste monografie, realizzate con il coordinamento della Federazione speleologica dell’Emilia-Romagna, sono oggi una buona base di partenza per eventuali studi futuri, e hanno anche contribuito al riconoscimento.
Nella Vena del Gesso si trova la lapis specularis. Che cos’è?
E’ una varietà di gesso trasparente secondario, usato in epoca romana al posto del vetro da finestre; ci sono molti giacimenti in Spagna, ma in Italia solo nella Vena del Gesso.
Una battuta sulle criticità della Cava di Monte Tondo.
La questione è seria: è una zona che dà lavoro a tanti, ma bisogna guardare anche all’impatto ambientale della Cava, aperta e attiva dagli anni ‘50, che ha smontato il monte di gesso Monte Tondo, a Borgo Rivola. È logico pensare che prima o poi la cava chiuderà. Si auspica una soluzione che tuteli il lavoro, magari con una riconversione dello stabilimento che lavora il gesso nella lavorazione del gesso riciclato.
Letizia Di Deco