Prendersi cura degli altri senza chiedere nulla in cambio, nel segno della gratuità, è forse qualcosa che va controcorrente in un tempo in cui tutto deve essere spendibile solo se porta guadagno. Eppure è proprio questo ciò che anima, nel segno del messaggio evangelico, i volontari e le volontarie dell’associazione Avulss, che quest’anno festeggia i suoi primi 40 anni a Faenza. Ci saranno anche loro la prossima domenica 24 settembre in piazza del Popolo alla Festa delle Associazioni. Abbiamo chiesto al presidente Gino Covizzi di raccontarci un po’ questa realtà.

Intervista al presidente Gino Covizzi

Gino, come nasce l’associazione?
L’Avulss nasce grazie a un sacerdote, don Luzietti, che a seguito di problemi medici e respiratori, ha compreso maggiormente la sofferenza, si è avvicinato a chi soffre e ha costituito l’Opera Religiosa Infermi per la formazione dei religiosi alla vicinanza agli ammalati.
Quando poi con l’avvento del servizio sanitario nazionale nel 1978-79 le Usl hanno accettato le associazioni, lui ha fondato l’Avulss, che quindi è un’associazione nata negli ospedali. A Faenza nel 1983 il dottor Gianfranco Missiroli e don Luigi Fabbri hanno pensato di aderire e quest’anno sono 40 anni che abbiamo un gruppo Avulss anche qui. Poi l’associazione si è legata ad altre realtà del luogo sempre nel campo dell’assistenza agli anziani e ai ragazzi con disabilità, negli anni ‘80 ancora molto abbandonata a se stessa organizzando campi estivi e vacanze. Molti volontari erano insegnanti e dedicavano le loro estati a questo.

E oggi di che cosa si occupa l’associazione?
Ogni volontario per entrare fa un corso base per apprendere alcuni passaggi, ognuno ha la sua caratteristica e si specializza. Un gruppo di persone che lavoravano in ospedale quasi 20 anni fa ha creato i Volontari del Sorriso: alla fine del loro orario di lavoro dedicano un po’ di tempo ai ragazzi della pediatria. Il volontario Avulss va anche a domicilio, nelle strutture. Ha tante mansioni e in tanti posti diversi: dall’Asp di Solarolo e Castel Bolognese, alla casa di Fognano, al Fontanone, l’Oami, Casa Cimatti, Casa del Sole.
Vicinanza e costanza

Qual è il fine dell’associazione?
Chi si occupa della parte giocosa cercando sempre di avere rispetto per la qualità della vita della persona. Il fine è proprio questo: sensibilità verso i più bisognosi, vicinanza umana e spirituale. Cerchiamo di dare una parola di speranza nella malattia, nella solitudine. E cerchiamo di avere anche continuità in questo dando appuntamenti precisi una volta al mese. Oggi per entrare nelle strutture servono convenzioni, è più complicato anche fare servizio, ma il fine è sempre essere portatori di speranza. C’è sempre in chi è malato l’idea che la propria vita non abbia più senso, che sia finita. E invece non è così, cerchiamo di valorizzare la loro vita, anche quella passata. Ci sono anche i frutti della vecchiaia, come dice papa Francesco.

Parlavi di vicinanza, negli ultimi anni il Covid ha sicuramente creato qualche difficoltà.
Ci siamo interrogati subito su questo problema e con le strutture siamo riusciti a comporre una scenetta realizzando un video mandato poi alle strutture che lo hanno fatto vedere a famiglie e ospiti. Poi il comune ha promosso il progetto che prevedeva il contatto telefonico con le persone sole segnalate dagli assistenti sociali. Siamo stati vicini dall’esterno: i nostri volontari hanno fatto animazione da fuori, e all’interno, dalle finestre, passava comunque qualcosa.

Che cosa vi aspettate per il futuro?
Noi siamo portatori di speranza e cerchiamo di non cadere nella tristezza perché il futuro non si prospetta molto felice e sereno. Però io penso che siamo un Paese con molti anziani e nel futuro ci saranno ancora tante persone che vivono sole in casa e ci sarà sempre più bisogno di volontari che vadano a passare per le case e che cerchino di avvicinare le persone. Siamo chiamati a visitare la solitudine nelle case. Ecco, penso che negli anni che verranno ci sarà tanto lavoro.

Letizia Di Deco