A più di due mesi dall’alluvione di maggio il tema è uno solo: ricostruire in fretta e bene. Di fronte ad un clima impazzito, non c’è tempo da perdere. E la Romagna lo sa. Marco Antonellini è professore associato all’Università di Bologna e tiene i corsi di Georischi e Idrologia ambientale al campus di Ravenna. «Ritengo che per comprendere con esattezza l’alluvione di maggio, sia importante studiare l’evento estremo e per questo motivo ho assegnato ad alcuni studenti della triennale tesi di laurea sull’argomento, con studi conoscitivi, basati su dati scientifici. Parte della ricerca riguarderà anche gli aspetti storici, sia in termini di precipitazioni che di portate dei fiumi, così da stabilire se si sia trattato di eventi davvero eccezionale e con quali tempi di ritorno».

La rete idraulica in pianura di 100 anni fa: necessario allargare e pulire gli argini

Il professore prosegue: «Su quanto accaduto a maggio, molto è già stato detto. Nel pugilato sarebbe stato un “uno-due”, cioè una combinazione di due diretti, il secondo dei quali è solitamente sferrato con maggior potenza rispetto al primo. L’alluvione è stata questo: un primo evento e dopo poco, in condizioni di terreno ancora saturo, un secondo che ci ha “buttati al tappeto”. Purtroppo una combinazione estrema». Rispetto alla ricostruzione, Antonellini spiega: «Molto dipende dalle autorità locali e nazionali e da come decideranno di intervenire sulla rete idraulica. Quella che abbiamo in pianura è stata costruita 100 anni fa, quando vennero fatte importanti opere di bonifica e modificato il corso dei fiumi. Il territorio era quello degli anni ’20 del secolo scorso. In questi 100 anni la cementificazione e l’uso del suolo sono cambiati: oggi si costruisce tutto e ovunque, e dove si edifica l’acqua non riesce a filtrare nel terreno e quindi resta in superficie. La conseguenza è quello che è accaduto a maggio». «Bisogna intervenire in un reticolo di canali oggi piuttosto asfittico. È necessario allargare gli argini e pulirli. L’alveo deve essere libero, perché la sua funzione non è quella di ospitare la vegetazione. Se l’acqua rallenta il suo corso, perché trova degli ostacoli, poi fuoriesce dagli argini. Quindi va fatta manutenzione».

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Le casse di laminazione possono essere una risposta importante

L’esperto suggerisce un’altra azione da fare, che combinerebbe anche l’aspetto naturalistico ed ecologico: «Casse di laminazione all’uscita delle zone collinari e montane. Queste opere sarebbero utili per mettere in sicurezza i territori di pianura e le aree abitate. Si tratta di grandi interventi che purtroppo non sempre sono facili da realizzare perché sono necessari espropri ed alti costi. Si tratta di scelte che vanno prese a livello amministrativo». Il professore prosegue: «Di fronte al rischio che eventi come quello di maggio si ripresentino anche in futuro, le casse di laminazione possono essere una risposta importante, senza dimenticare che si creerebbero zone umide che avrebbero valenza anche dal punto di vista naturalistico e paesaggistico». In conclusione: «È importante non trascurare la manutenzione dei fiumi, partendo dalla cura degli alvei fino ad arrivare, in un’ottica a lungo termine, a dare più spazi all’acqua: allargare gli argini, ripristinare alcuni meandri fluviali, creare dei bacini che diano respiro ai fiumi nei momenti di criticità. Questi ultimi potrebbero essere utili anche per contrastare la risalita del cuneo salino, perché le acque dolci verrebbero filtrate dal terreno».

di Sara Pietracci