Le immagini dell’alluvione in Romagna corrono veloci in tv, sul web, sui social. Dalle altre comunità dei Focolari dell’Emilia, ma non solo, subito arrivano telefonate per avere notizie, per sapere come stiamo, se abbiamo avuto danni e cosa fare per aiutare. L’emozione parte da un pensiero. E se fossi io al loro posto? Non vorrei che ci fosse qualcuno che mi aiutasse? E il moto del cuore si trasforma in azione, in aiuto concreto, con i muscoli. Questo è il pensiero di Gianni, un giovane piemontese, arrivato nel primo weekend di giugno. È partito da Torino con quindici amici. Avevano programmato per quei tre giorni una camminata: qualcuno ha proposto di cambiare destinazione e tutti hanno accettato con entusiasmo.

Non basta pulire: serve accogliere e ascoltare le persone

Ospitati nella parrocchia del Paradiso, si sono subito messi ad aiutare coordinati dalla Caritas. Gregorio e la moglie raccontano: «Il lavoro è tanto, ma lavorando in squadra, abbiamo sistemato diverse cose. Non basta pulire, serve anche accogliere e ascoltare le persone: i proprietari del bar a cui eravamo stati assegnati, all’inizio erano scoraggiati». L’affetto portato dai volontari, oltre all’aiuto concreto, arriva al cuore dei faentini. «Quel sorriso accennato, quando da sorridere non c’è niente, ripaga di tutti i dubbi circa il trascorrere un weekend lungo senza riposarsi, facendo tanti chilometri – racconta Valentina – perché quel sorriso è la vita, talvolta malconcia e infangata, ma che si rimbocca le maniche e va avanti. E tu di quella vita ne stai portando un po’, seppur poco, a chi l’ha vista sgretolarsi tutta intera, e ora si trova a doverla ripulire».

Un piccolo segnale di vicinanza

Altri amici dei Focolari, sono venuti fin da subito. Tre macchine il 20 maggio partono da Piacenza e raccolgono compagni a Modena e Bologna. Stessi attrezzi, stesse scene, stesso cuore che mette in moto muscoli ed emozioni. «L’impatto è struggente – racconta Pierangelo- la devastazione è grande ed estesa. Vedere la gente accatastare mobili e i ricordi di una vita è impressionante. Cominciamo dalla casa di un anziano che ha il cortile invaso dal fango. Il nostro è stato un piccolo segnale di vicinanza, ma lui si sente sollevato e incoraggiato. Sapevano che eravamo lì per loro. Mi hanno colpito i numerosi giovani presenti. Forse si pensa che i nativi digitali, assorti nei social, siano meno concreti, ma quando ci sono delle necessità reali rispondono. Non coltivano solo relazioni virtuali». Da San Prospero si aggrega Gianpaolo, che ancora ricorda i tanti aiuti ricevuti esattamente 11 anni fa in occasione del terremoto nel suo paese. «L’arrivo è stato un impatto veramente forte, che non ci saremmo mai aspettati così drammatico. Miriadi di volonterosi in mille colori, tutti destinati inesorabilmente a mutare in grigio: giovani e meno giovani, tutti convenuti lì con silenzioso e concreto spirito di servizio. E nessuno tra gli alluvionati che si lamenti, ma tutti accomunati dall’unico assoluto obiettivo: quello di ritornare quanto prima ad una sorta di normalità, ben coscienti che la propria vita ha un prima e un dopo l’alluvione. Un’esperienza che lascia il segno perché è vivere il “perdere tutto”, ma restare nell’amore di Dio perché si ha salva la vita, il dono che vale più di ogni cosa! Solo l’Amore conta!»

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Delicatezza e tatto

Anche Fabrizio rimane colpito dai faentini. «Non volti disperati che guardavano ciò che era stato distrutto, ma volti che già pensavano a quello che era necessario fare per ripartire». Da Modena parte Alfredo, 20enne. Una decisione non immediata: il weekend era già pianificato diversamente e c’è un po’ di timore, ma la voce del cuore è più forte. Prende la pala e gli stivali e parte. «All’arrivo mi sembra un film apocalittico, ma dal vivo… Mi sono sentito inerme e impotente davanti alle cataste di mobili, oggetti ed indumenti che ostruivano le strade: la desolazione era sopra ogni mia capacità, sia di pensiero che di azione. Eppure, rientrando a casa, nonostante fossi parecchio stanco, ero sereno. A colpirmi è stata la generosità che ho scovato fra le macerie infangate, la tenace resilienza dei cittadini, la utopica unità dei gruppi variegati di volontari, accomunati forse solo da una cosa: la voce della responsabilità che in fondo al cuore aveva scosso anche me il giorno prima». Da Milano, arrivano Federica, Elisa, Letizia e Simone, accompagnati da Marta, il cui fratello romagnolo li ospita a casa sua. L’impressione è forte, si lavano foto e ricordi di una vita. «Mi sono accorta subito che serviva una certa delicatezza e tatto, perché tutto ciò che ci passava tra le mani era stato un tesoro prezioso per qualcuno. C’è la consapevolezza di non aver fatto tanto, ma è forte sapere di lasciare il “testimone” ad altri 2mila volontari pronti per il weekend che sta per cominciare!». Ogni contributo è prezioso se guardato nell’insieme.

La risposta a un richiamo misterioso

Infine, c’è anche chi parte da solo. Con il treno da Brescia arriva Angelo: «Mercoledì scorso il vangelo raccontava di Maria che senza indugio parte per fare visita a Elisabetta in difficoltà. Quel “senza indugio” mi ha dato la spinta a partire. Poi tutto è stato facile. Alla stazione di Faenza mi attende Ruggero, mi presta una pala e mi accompagna al punto di ritrovo gestito da Emergency. Mi mettono in una squadra di nove volontari, molto variegato, proveniamo da diverse città. Spontanea nasce l’amicizia fra noi. Con semplicità ci raccontiamo le avventure vissute per arrivare lì, quasi con pudore qualcuno confessa che questa è la sua settimana di ferie. Sembra che tutti abbiano risposto ad un richiamo misterioso. Il fango da ripulire s’è fatto duro. Il caldo e la polvere creano qualche disagio, ma nessuno lo ammette. Alle 13 siamo sorpresi dall’accoglienza e dall’organizzazione dei faentini; ci viene offerto un buon pasto nella vicina scuola. Tanti ci salutano, ci ringraziano, alcuni vogliono stringerci la mano. Sì, l’Italia dà il meglio di sé in queste occasioni».

A cura di Gabriella Ferretti