Pubblichiamo una lettera inviata alla nostra redazione da una lettrice faentina, Giovanna Asirelli, che ha voluto raccontare la sua notte tra il 16 e 17 maggio per ringraziare sinceramente i soccorsi e tutti coloro che da subito si sono messi a disposizione per aiutare chi come lei ha perso tutto.

La lettera di Giovanna Asirelli

Caro direttore,

a oltre un mese dal 16 e 17 maggio, giorni in cui Faenza è stata allagata dalle acque del fiume Lamone, ritengo opportuno scrivere di quello che gli abitanti delle aree inondate, in diversa misura, hanno vissuto e subito. Io abito in una delle zone più colpite, via Della Valle e ora le espongo le tre fasi della vicenda. Prima fase: chiamiamola preparatoria, della “attesa ma anche della speranza”, che non sarebbe accaduto nulla di così drammatico. Il pomeriggio del giorno 16 è trascorso con l’aiuto del signor Franco che aspirava l’acqua che piano piano risaliva dai tombini e questo fino a sera. Poi i saluti e il congedo da alcuni vicini e il rientro in casa.

L’inondazione

Seconda fase: l’inondazione. Alle 2,40 di notte mio fratello mi chiama e mi dice che l’acqua sta salendo velocemente. Ci eravamo riparati tutti al secondo piano, come da preavviso, con la nonna di 99 anni inferma. Botti fragorosi ci annunciavano la rottura dei vetri esterni, boati improvvisi ci comunicavano che l’acqua aveva sfondato le porte degli appartamenti. Che fare? Il secondo piano non era più sicuro, quindi rifugio in soffitta, portando fin lassù anche la nonna invalida con sforzi disumani. Di lì la ricerca disperata di un contatto con i Vigili del fuoco, contatto che è stato costante e che mi invitava a fare segnali dal lucernario con pile per essere individuati. L’acqua si è fermata, in fase di equilibrio, al quarto gradino vicino alla soffitta. Per tre ore ho fatto segnali, sotto la pioggia battente e il vento, cercando di parlare con la vicina, pure lei in soffitta. Dopo avere effettuato vari tentativi, l’elicottero è arrivato fino a noi, il militare mi ha aiutato a spingermi sul tetto, sotto la furia della pioggia e del vento causato dalle potenti pale. Io sono stata tratta in salvo alle 6,30 assieme alla vicina, ma per mio marito, la mia mamma e mio fratello non è stato possibile fare altrettanto. Io e Paola ci siamo strette vicine, in preda a tremori dovuti al freddo e allo stupore di ciò che stavamo vivendo. Bravissimi i ragazzi che ci hanno messo in salvo, i loro interventi sono straordinari e coraggiosi, fanno “cose” di cui non si parla mai abbastanza. Poi siamo state accolte al palaCattani, (palazzetto dello sport adibito agli sfollati) con ogni attenzione e riguardo. Nessuno si è sentito abbandonato, ma costantemente seguito nei bisogni più urgenti. Non ho mai perso il contatto con mio marito che, insieme a mio fratello e alla mamma, sono rimasti in soffitta fino a quando i sommozzatori di La Spezia sono arrivati a salvarli con un gommone, quando l’acqua era ormai scesa a livello del balcone del secondo piano: erano le 11 del mattino. Anche l’anziana mamma è stata portata giù dalla soffitta con l’aiuto sorprendente dei soccorritori poi è stata trasferita al Pronto soccorso, presente mio fratello medico, mentre mio marito mi ha raggiunto al palaCattani.

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Vie di Faenza colpite dall’alluvione

Il dopo

Terza fase: il “dopo”. Sono trascorsi due giorni prima che potessimo andare a prendere visione di cosa era successo. Sintetizzo al massimo: il “tutto” è racchiuso in me, in noi e per noi intendo tutte le vittime della catastrofe; tre appartamenti distrutti, mobili e armadi catapultati in ogni dove, mobili che ostruivano le porte sfondate dell’ingresso, acqua e fango dovunque, una casa irriconoscibile. Nel “dopo” rientrano tutti gli aiuti ricevuti, a cominciare da nostro figlio che con gli amici Marco e Rita, Filippo e Camilla, ha organizzato le fasi più difficili: guardare, scegliere, buttare… soprattutto buttare tutto e in questo plurale maiestatis ci stanno le voci di Simone e Violetta, di Paola ed Erika, di Dante e di Lydia, di Ilaria e di Andrea, del dottor Mario, di Benedetta e Beatrice, di Maurizio e Antonietta. Cataste di macerie nascondevano, sepolti nel fango, tutti i ricordi di una vita e di tanti sacrifici. Devo ringraziare mio nipote Fabio con Elisa, Giovanni di Staranzano, vicepresidente dell’associazione Attic, gli appartenenti all’Ordine di Malta, i ragazzi di Chioggia, di Cuneo, di Riva del Garda, i genitori e gli studenti della scuola media Bendandi, Stefania e Silvia di Ferrara; senza di loro non saremmo riusciti a rendere “vuoto” il nostro “pieno”. Devo ringraziare la cara ex studentessa Michela e la sua collega di lavoro, l’ex studente, ora docente presso l’Università di Bologna, Daniele: grande riconoscenza per aver dedicato le loro domeniche a noi immersi nel fango. Devo ringraziare Anna e Maria, il buonissimo padre Ottavio della parrocchia di San Francesco che ci ha seguiti fin dai tempi più difficili con parole paterne e aiuto concreto. Dobbiamo ringraziare Maura e Gabriele che ci hanno accolto per condividere i loro pranzi e cene in casa loro come fossimo fratelli, sollevando il nostro umore a volte difficile da ricucire. Hanno allargato la loro famiglia con l’aggiunta di tre persone per tre settimane e ci hanno aiutato in ogni modo possibile concretamente. Dobbiamo ringraziare Gloriano e Syryana, Monica sorella di Camilla. Non possiamo dimenticare Cristina e Matteo che hanno messo a nostra disposizione l’appartamento della loro mamma. Forse dimentico qualcuno involontariamente e me ne scuso, ma la mia voce vuole essere senza dubbio la voce di tanti, di coloro che hanno perso tutto come noi. Grazie.

di Giovanna Asirelli – Faenza