L’intero studio di via Chiarini è stato sommerso dall’acqua, che è arrivata a coprire il tetto trascinando in lungo e in largo statue di cavalli e busti biblici. Diverse opere sono andate distrutte, ma lui non si perde d’animo ed è già pronto a restaurarle. Il ceramista e sculture Luciano Samorè, classe 1940, si rimbocca le maniche e, nonostante il caos attorno che ha sconvolto 50 anni di ricerca artistica, guarda con fiducia al futuro rimettendo assieme dal fango i cocci delle sue opere, da sempre espressione del proprio io e della propria ricerca. Un’operazione naturale per lui che, in un certo senso, dal fango è artisticamente nato.

Le opere di Luciano Samorè sommerse dal fango

Da bambino, a Fognano, si metteva a fianco al Lamone a dare forma alle prime bozze di opere con l’argilla. Un semplice ma fascinoso gioco che ha voluto far proseguire nel tempo, andando a studiare all’istituto d’arte Ballardini. Ora la stessa argilla delle colline è arrivata giù fino a Faenza arrivando a coprire gran parte della città. «Nel bene e nel male, la storia di Faenza è legata al fango» commenta, mentre mostra le opere che finora è riuscito a salvare. Aprendo per la prima volta dopo l’alluvione la porta del suo studio, è subito emersa un’immagine che ben rappresenta la voglia di ripartire. La scultura della Madonna delle Grazie da lui realizzata si è salvata dalla furia dell’acqua e ed era lì, in mezzo al caos, in piedi, quasi come se l’aspettasse. «Attorno alla statua era un disastro – ricorda l’artista -, ma quella Madonna sembrava immune di tutto, e questa immagine mi ha colpito».

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A destra il ceramista Luciano Samorè

La fiducia nel futuro trasmessa dai giovani

E la fiducia per il futuro viene trasmessa anche dai tanti giovani che hanno aiutato il ceramista . Quasi come fossero pastori in pellegrinaggio, tanti ragazzi hanno fatto tappa allo studio di Samorè per dare una mano, da Saronno a Reggio Emilia. Arrivati non si sa come. A differenza della pulizia nelle abitazioni, qui la rimozione del fango doveva avvenire con cura, per non correre il rischio di distruggere le opere. «I giovani sono stati bravissimi. A un certo punto erano quasi loro a ringraziarci – commenta Samorè – perché abbiamo dato loro un’esperienza di vita. Volevano portare via alcuni pezzi delle opere rotte a ricordo di quello che è stato». Non può che prendersi cura delle sue opere Samorè. Rappresentano il proprio vissuto. «Nelle mie creazioni metto me stesso, le mie emozioni, in tutte le loro sfaccettature». Artista dal valore internazionale, ha lavorato con maestri come Carlo Zauli, Bottega Gatti, Bartoli e Cornacchia. Nelle sue opere d’arte religiosa Samorè racconta il Vangelo nella sua umanità, come ha fatto per la celebre Via crucis di Fognano o come per esempio nell’episodio del Chi è senza peccato scagli la prima pietra, «un tema che mi ha sempre affascinato e che è molto attuale». O ancora nelle maternità di Maria. Così come l’attenzione per i migranti, fossero italiani degli anni Sessanta o quelli contemporanei che fuggono da guerra e carestie. Oppure l’attenzione al mondo giovanile, con bambini quasi costretti a stare di fronte alla televisione. Non mancano poi opere irriverenti, come il David con la testa di membro a rappresentare la stupidità umana. C’è un mondo in quello studio di via Chiarini distrutto dall’alluvione, che, riportato alla luce, ha ancora tanto da raccontare.

di Samuele Marchi