Ogni persona è unica e sta affrontando il dramma dell’alluvione in modo diverso. Ecco allora che, oltre a braccia e gambe per spalare il fango, è importante stare al loro fianco, non lasciando nessuno solo. Soprattutto le persone più fragili, quelle che si sono ritrovate a sfollare dalle proprie case in ospedale. In questo luogo, spesso sinonimo di sofferenza, il propedeuta Pietro Lombardi, 29 anni, proveniente da Rimini, offre il proprio servizio di assistenza religiosa nei vari reparti di Faenza. «Si tratta di un servizio ai malati e sofferenti che facevo già prima di questa emergenza – dice Pietro -. Trascorro del tempo con i pazienti. Mi metto al loro fianco. Chiedo se hanno bisogno di qualcosa. A volte si chiacchiera semplicemente, ma anche nel parlare del più e del meno emerge la risposta a un bisogno che hanno».

Fisioterapista, Pietro è ora in cammino vocazionale a Faenza. In questi giorni è entrato così a contatto con la sofferenza delle persone, legata all’alluvione. C’è chi ha dovuto lasciare la casa ed essere ricoverato e chi non ha una malattia da curare, ma ha perso quasi tutto. Altri ancora sono sfollati mentre erano in degenza. «In questi giorni sono entrato in contatto con tante situazioni diverse – commenta Pietro -. In comune, c’è però una grande voglia di parlare e raccontarsi delle persone. Quando trovano qualcuno disposto ad ascoltarle, per loro è importantissimo. Quello che faccio io in ospedale è un servizio di assistenza religiosa, ma dialogo con tutti, anche con chi non si professa cristiano. E con loro parlo di qualsiasi cosa».
Dov’è Dio in tutto questo? E’ una delle domande più ricorrenti

Si può così intercettare la domanda di una coppia, marito e moglie, che hanno perso casa o anche persone anziane che si trovano ora in una condizione di forte precarietà. Dov’è Dio in tutto questo? è una delle domande che è ricorsa più spesso nei dialoghi all’interno dell’ospedale. «Ho sentito tanti porre la questione – sottolinea il propedeuta -. Alcuni ne parlavano come se la Madonna ne avesse responsabilità diretta. C’è tanta delusione in questi discorsi. È un argomento complesso. Quello che mi preme sottolineare, è però che da qui si apre un dialogo sul nostro rapporto con Dio, che spesso dimentichiamo. Queste persone hanno nel cuore delle domande di ricerca di senso che prima non erano così forti. È importante aiutarle sviscerare queste domande. Da parte mia, le accompagno in questo cammino misterioso fin dove posso…».
Ripartire dalla fragilità
I segni di speranza, in questo contesto, ci sono e sono ben tangibili. «Di fronte a tutta la sofferenza che stiamo provando – dice Pietro -, la cosa che mi ha colpito è stata vedere queste persone sempre accompagnate da amici o famigliari. In mezzo a questa catastrofe, penso sia emersa tanta unione da parte delle famiglie. E questa cosa mi è stata riportata anche da altri». La sofferenza in ospedale mette a nudo anche l’autenticità dei bisogni e delle relazioni. «C’è stato un signore – racconta Pietro – con cui ho parlato mezz’oretta, ma che mi ha raccontato la storia della sua vita. Abbiamo parlato di Dio e siamo entrati in un dialogo profondo. Mi ha colpito tantissimo la sua sincerità, subito dopo, nel chiedere aiuto. Mi ha detto: Torna anche domani. E non era una domanda. Era talmente cosciente del suo bisogno che quella sua richiesta è stata per me impressionante. Il giorno dopo sono tornato da lui».
Samuele Marchi