Ci sono alcuni argomenti di cui è difficile parlare, anche per chi scrive articoli ogni settimana. Questo perché le parole non sono oggetti né prodotti destinati a un pubblico consumatore, ma briciole di pane che provano a nutrire una riflessione. Spesso però noi ascoltiamo poco – e poco riflettiamo – lasciando che in chi si trova a vivere un periodo difficile come l’adolescenza, si crei piano piano un vuoto. E allora si cerca di riempire questo buco il più possibile per poi svuotarlo di colpo e sprofondarvi. E di nuovo: riempire e svuotare fino a lasciarsi sparire. Ma in questa illusione di trasparenza silenziosa risuona un allarme alle orecchie degli adulti di riferimento.

Ecco perché è difficile parlare di disturbi del comportamento alimentare, di anoressia e bulimia nervosa e degli altri disturbi non specificati come quello dell’alimentazione non controllata, che hanno esordi sempre più precoci già durante le scuole medie. Abbiamo provato a spiegare quali sono i sintomi, quali sono le cause, come intervenire, ma temiamo che queste informazioni siano superflue senza la coscienza da parte di chi educa di quanto sia importante questo ruolo nella crescita dei più giovani.

Inutile dire che questi disturbi sono aumentati nei due anni di pandemia. Inutile dire che a essi spesso si accompagna un disturbo d’ansia o depressivo e che spesso questo disturbo si leghi a una fobia sociale, a un disagio scolastico che a volte comporta anche l’abbandono della scuola. Inutile dire che sono tanti i disagi che i ragazzi e le ragazze di questi anni ’20 del nuovo millennio stanno vivendo perché conta poco se non c’è la consapevolezza di quanto fragile sia il volo di una farfalla appena uscita dal bozzolo. Spesso tra queste pagine abbiamo scritto e letto che non di solo pane vivrà l’uomo, ma la parola di Dio passa proprio dalla parola dell’uomo che la realizza, che la rende atto d’amore e di cura.

Probabilmente in un mondo che non è più contadino, che non conosce più la simbologia della spiga di grano che a primavera lentamente si colora, è più difficile capirlo, ma il nutrimento di cui hanno bisogno i ragazzi è proprio la cura, la pazienza, la relazione, quello scambio di parole fatto di attenzioni reciproche, di ascolto attivo, come dice la pedagogia: di sguardi e dialogo sincero, che non si fanno inchiodare dallo standard richiesto dalla società. Uno standard che oggi non è solo legato all’aspetto fisico ma indotto da ogni tipo di prestazione, scolastica e universitaria, lavorativa e artistica. Eppure sappiamo che non siamo unicamente il risultato delle nostre azioni: mens e corpus non possono essere scissi, come ci insegnano gli antichi.

Lo sappiamo davvero? E sappiamo anche che dovremmo rispettare questo connubio per rispettare noi stessi? Se lo sappiamo, allora si vergognino coloro che impongono il raggiungimento rigido di certi obiettivi senza guardare la persona, non coloro che non riescono a raggiungerli. Se lo sappiamo dobbiamo lottare per costruire una società in cui la parola “competere” smetta di significare dirigersi contro, e riscopra il suo significato originario di dirigersi insieme verso un obiettivo comune: la cura di una vita che ogni persona ha diritto di far fiorire.

Letizia Di Deco