Impulsiva, incisiva, salvifica. Una scrittura che accompagna il lettore in un viaggio per cogliere in maniera piena la vita, in tutto il suo caleidoscopio di emozioni. Lo scopo nobile delle parole (edito da Tempo al libro) è la terza raccolta poetica di Angela Albonetti. Classe 2000, brisighellese, con questo nuovo libro affronta con coraggio e senza sconti alcuni temi diventati quasi tabù nella società. In primis il dolore, che non viene anestetizzato ma affrontato con coraggio. E come scrive Liliana Casadei nella prefazione al libro, «solo attraverso la sofferenza si può apprezzare la sua stessa fine come un vero e proprio traguardo». Un cammino in cui il quotidiano diviene luogo profetico: ci si imbatte nel riflesso delle pozzanghere, «vaga storpiatura delle nuvole», o nel cader delle foglie che «fa paura», e di fronte al quale non si può fare altro che «sedersi e guardare la vita».

Intervista ad Angela Albonetti

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Angela, perché scrivere?

Per tanti motivi, ma direi soprattutto che l’atto di scrivere delle parole su un foglio mi aiuta a comprendere e gestire meglio le emozioni. Ho bisogno di metterle in ordine e, in un certo senso, toglierle dalla mia testa, anche per via del disturbo borderline che da anni mi accompagna. I miei versi sono inscindibili da questo male. È un disturbo di personalità insorto fin dalle scuole medie. Provoca impulsività, umore instabile, paranoie, a volte fenomeni di autolesionismo. Mettere ordine nelle mie emozioni mi fa stare bene.nOgni poesia rappresenta un piccolo mattoncino della mia identità che fatico a cogliere appieno nella sua interezza. Inoltre, fissando le emozioni su carta, so che queste non andranno perse. Una delle mie più grandi paure è quella di dimenticarmi di determinate esperienze e persone. Come se potessi avere un blackout del cervello. In questo modo quelle saranno sempre lì, a testimoniare quello che ho provato e sentito.

Quando è nato il tuo amore per la poesia?

Ho sempre amato la lettura, e da lì poi sono passata alla scrittura. I primi testi ho iniziato a scriverli già alle elementari. In IV o V mia mamma partecipava a un corso di scrittura e mi ha coinvolta nello scrivere alcune poesie, che abbiamo inviato a un editore romano, Pagine, che ci inserirono in una raccolta di poesie. In un certo senso, è partito tutto da lì. Ma non è stato un cammino lineare. Dopo questo primo episodio persi contatto con la poesia e mi limitavo a scrivere in prosa. Sono tornata ai versi quando ho iniziato a stare male, durante il periodo delle scuole medie. Fu un ritorno quasi naturale: scrivere poesie mi aiutava a stare bene. Rimanevano però testi che tenevo nel cassetto… poi alle superiori un prof che le aveva lette mi incentivò a contattare un editore per pubblicarle. È nato così Cielo senza stelle, il mio primo libro di poesie.

Cosa ha rappresentato per te quel momento?

Quando presi in mano il libro stampato, non ci credevo. Arrivò tra l’altro in un periodo in cui ero ricoverata, e fu davvero un’emozione unica. Il rapporto con le mie poesie è in un certo senso filiale. Il secondo libro Frammenti d’inchiostro è nato da un concorso di poesie promosso da Aletti editore. Questa raccolta però oggi la sento meno riuscita. Ci sono testi troppo personali che difficilmente riescono ad arrivare al lettore.

Si scrive dunque per sé o per gli altri?

Tutto parte in primis per me, ma poi deve arrivare anche agli altri. Una poesia riuscita fa provare quella stessa emozione indescrivibile che hai provato anche a un’altra persona. In un certo senso, penso che i poeti abbiano un dono – una certa profondità nel vivere e trasmettere particolari aspetti della vita – che per esprimersi al suo massimo potenziale deve poter essere condiviso. In alcune poesie dell’ultima raccolta, ci sono testi rivolti esplicitamente al lettore. Ed è bello che ognuno, a partire da questi testi, possa trovare una sua chiave di lettura.nSe una poesia viene “letta bene”, con la giusta attenzione, è lei a guidarti. E a volte, una poesia che prima non ti aveva suscitato nulla, rileggendola in un altro contesto è capace di parlarti profondamente. Magari quel «folle ghigno» di cui hai letto ieri, oggi lo riesci a leggere anche nel tuo contesto personale, in un episodio o volto che anche solo di sfuggita hai incontrato per strada.

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Qual è il filo conduttore che lega le poesie di Lo scopo nobile delle parole?

Sicuramente il dolore. Ma non c’è solo quello. È un libro in cui trovano ampio spazio le dediche. Non solo a persone, ma anche agli elementi della natura, come l’acqua, la Natura. È un ringraziare nonostante tutto. Nonostante il dolore.

La poesia è dialogo. Ci sono poeti che senti più affini?

Sicuramente Alda Merini. Nel suo modo di scrivere c’è un vissuto che sento condiviso. Non è un caso che alcuni stili di scrittura, penso all’utilizzo della punteggiatura, siano naturalmente simili. Un altro poeta che sto riscoprendo è Giovanni Pascoli. Un uomo che, pur soffrendo molto, è stato sempre in ricerca.

Samuele Marchi