“1908-1952. A ricordo di un’impresa di sogno” è la nuova esposizione permanente del Mic di Faenza, a cura di Valentina Mazzotti, in collegamento con la mostra di Salvatore Arancio “We Don’t Find The Pieces They Find Themselves”.
La nuova sezione verrà inaugurata venerdì 11 novembre, nel soppalco della sezione delle ceramiche classiche. L’esposizione vuole ripercorrere le vicende che portarono alla fondazione del Museo e al suo rapido sviluppo fino alle drammatiche distruzioni della seconda guerra mondiale e alla rapida ricostruzione postbellica con la riapertura del Museo nel 1952.
Furono anni di attività febbrile, animati dalla grande figura dell’allora direttore Gaetano Ballardini che seppe concretizzare un articolato progetto di Museo comprendente le collezioni, la scuola e la biblioteca.
Le tappe fondamentali di questa storia sono: la nascita del museo nel 1908, la fondazione della rivista “Faenza” nel 1913 che rappresenta ancora oggi un riferimento per gli studi ceramici, l’istituzione della scuola nel 1916 divenuta poi statale nel 1919, la Mostra permanente della moderna ceramica italiana d’arte nel 1926, l’acquisizione di importanti collezioni come la donazione dei frammenti islamici appartenuti a Fredrik Robert Martin nel 1930, il definitivo impianto della biblioteca nel 1935 e l’istituzione del concorso nazionale per la ceramica d’arte nel 1938.
Un altro passaggio fondamentale della storia del Museo è rappresentato dalla devastazione bellica, soprattutto a seguito del drammatico bombardamento del 13 maggio 1944, a cui è seguita una rapida reazione e ricostruzione.
L’eredità del Museo prebellico si perpetua ancora oggi attraverso il recupero di ceramiche dal fondo dei frammenti rinvenuti tra le macerie della guerra e di cui la scultura di Adamo ed Eva di Jean Renè Gauguin presso la danese Bing&Grondahl rappresenta l’esempio più recente.
La nuova sezione è stata realizzata grazie al sostegno di MiC- Direzione generale, educazione, ricerca e istituti culturali , Regione Emilia-Romagna, La BCC- Credito Cooperativo ravennate, forlivese e imolese, Comune di Faenza, Unione della Romagna faentina e con la collaborazione degli studenti ISIA Faenza per la realizzazione della grafica dell’esposizione e di Andrea Pedna per la parte multimediale.
Inaugura invece sabato 12 novembre We Don’t Find The Pieces They Find Themselves, a cura di Irene Biolchini, è un progetto che si focalizza sui processi di creazione, restauro e conservazione riflettendo sulla storia della ceramica, sulla sua durabilità e sulla dignità del lavoro silenzioso che avviene nei luoghi meno noti di un’istituzione.
Con questo progetto, Salvatore Arancio continua la sua fascinazione per il medium della ceramica. In collaborazione con il MIC di Faenza, l’artista propone un dialogo con le parti nascoste al pubblico del museo.
La mostra è composta da diversi elementi creati usando il linguaggio del video e della scultura, sviluppati durante differenti fasi di ricerca e produzione.
Inizialmente l’artista ha lavorato su un video, proponendo una poetica rilettura dei depositi e del laboratorio di restauro, dove da anni, si lavora per ricostruire le opere della collezione del museo danneggiate durante il bombardamento bellico. Il video è composto da immagini dei luoghi, delle opere, dei frammenti, insieme a momenti di lavoro, racconti, metodologia e stimoli che ispirano le restauratrici.
In un secondo momento, l’artista ha creato una nuova serie di sculture che saranno esposte in dialogo con il video.
Le sculture in ceramica smaltata, sono state realizzate a quattro mani durante una serie di workshops con le restauratrici, annullando ogni ordine gerarchico tra artista e artigiano. Assemblando insieme elementi creati dalle diverse mani, modellate partendo da un’interpretazione immaginifica e legata alla memoria di opere restaurate in passato dal laboratorio.
Invertendo i consueti ruoli, questa volta sarà invece l’artista a ricomporre insieme i frammenti creati dalle restauratrici, dando forma alle sculture, senza previa conoscenza dell’ opera che ha ispirato inizialmente le forme dei “frammenti”.
Il progetto nel suo complesso, vuole così affrontare temi legati alla fragilità e alla memoria, narrando allo stesso tempo come l’ eccellenza e “know how” italiano venga utilizzato per riordinare il caos, dando una seconda vita a opere che altrimenti sarebbero per sempre perdute o rinchiuse nei depositi.
Un lavoro corale in cui le singole parti si ascoltano e incontrano.
Risultato del bando ministeriale Cantica 21 che prevede anche la collaborazione con il MAMbo di Bologna. Il video e la scultura We Don’t Find The Pieces They Find Themselves entreranno nella collezione permanente del MAMbo a seguito della mostra organizzata presso gli spazi del MIC di Faenza.
La mostra è allestita nella Project Room e nella Sala delle ceramiche faentine.
In occasione della mostra We Don’t Find The Pieces They Find Themselves l’artista ha anche realizzato una serie di edizioni d’artista che potranno essere acquistate in esclusiva presso il nostro bookshop.