Il 12 giugno le urne si apriranno in tutta Italia e non solo nei circa mille Comuni in cui si eleggeranno sindaci e consigli. Si voterà, infatti, anche per i cinque referendum abrogativi in materia di giustizia promossi da Lega e radicali. In origine i quesiti presentati erano sei, ma uno è stato dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale. Vediamo in estrema sintesi il loro contenuto, seguendo l’ordine in cui compaiono sul sito del Ministero dell’Interno.
I 5 quesiti: perché la consultazione sia valida occorre che si rechi alle urne la metà degli aventi diritto più uno
Il primo quesito propone di abrogare la cosiddetta “legge Severino” (per la precisione si tratta di un decreto legislativo) che in caso di condanna giudiziaria prevede automaticamente l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza per parlamentari, membri del Governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali. Per le cariche in enti territoriali la sospensione scatta già dopo la sentenza di primo grado. L’eventuale abrogazione eliminerà l’automatismo e quindi sarà il giudice a decidere, volta per volta, se applicare o meno l’interdizione dai pubblici uffici.
Il secondo quesito interviene sulle fattispecie per le quali, durante le indagini, il magistrato può disporre la custodia cautelare (in carcere o in altre forme) di una persona investita da gravi indizi di colpevolezza. Perché ciò sia possibile deve sussistere il rischio di fuga o di inquinamento delle prove o, ancora, di reiterazione del reato. Il referendum propone di abrogare quest’ultima fattispecie.
Il terzo quesito è lunghissimo nella formulazione, ma il suo obiettivo si può sintetizzare così: eliminare la possibilità che un magistrato passi dalla funzione requirente (la cosiddetta “pubblica accusa”) a quella giudicante e viceversa. Detto in altri termini, un pm resterà tale per tutta la sua carriera e non potrà diventare giudice e così pure all’inverso.
Il quarto quesito punta a consentire anche ad avvocati e professori universitari di partecipare alle delibere sulla valutazione professionale dei magistrati all’interno del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari territoriali. Tali organismi esprimono pareri per le decisioni di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
Il quinto quesito chiede l’abrogazione dell’obbligo del magistrato di raccogliere almeno 25 firme, fino a un massimo di 50, per presentare la propria candidatura al Csm. La parola è agli elettori, sia nel merito delle scelte che sul piano della partecipazione: perché la consultazione sia valida, infatti, occorre che si rechi alle urne la metà degli aventi diritto più uno.
Stefano De Martis