Dietro ai numeri che testimoniano l’emergenza abitativa che sta vivendo il nostro territorio, ci sono i volti delle persone. Le loro storie, le loro difficoltà quotidiane. Di seguito riportiamo la testimonianza di una donna nigeriana arrivata in Italia sei anni fa.
Inizialmente costretta a prostituirsi sulle nostre strade, è stata poi accolta e ospitata in una casafamiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Dopo una lunga ricerca, solo recentemente ha trovato un alloggio presso le case popolari Acer con la propria famiglia.

La testimonianza di una donna inizialmente accolta in una casafamiglia della Papa Giovanni XXIII

«Sono arrivata dalla Nigeria ormai sei anni fa – racconta la donna – per il bisogno di uscire da una situazione di corruzione, violenza e ingiustizia che caratterizza il mio paese e dare la possibilità alla mia famiglia di avere una vita migliore. Arrivata qui, clandestina, non ho avuto altra possibilità che prostituirmi in strada per poter vivere, finché, dopo qualche mese in strada, sono stata accolta in una casafamiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, dove è iniziato il mio percorso di integrazione, che è stato caratterizzato da lunghissime attese: quella per ottenere il permesso di soggiorno prima, poi la difficoltà ad avere accesso all’assistenza sanitaria. Gli impiegati italiani erano molto inesperti riguardo ai diritti degli stranieri e alle leggi che li garantiscono, per questo è stato necessario un lavoro di anni di collaborazione fra volontari ed istituzioni per arrivare ad una efficace tutela dei diritti sanitari degli stranieri a Faenza e molto ancora ci sarà da crescere». Dopo circa un anno dal mio ingresso in casafamiglia ho conosciuto il mio attuale marito e ho intrapreso la mia prima gravidanza di una bimba che ora ha quasi 4 anni ed è portatrice di grave disabilità. Con mio marito e mia figlia abbiamo vissuto in un appartamento per alcuni anni. Ne eravamo felicissimi pur essendo quello un appartamento umidissimo, con tanta muffa sui muri e freddo, perché agli stranieri vengono proposti gli appartamenti in cui nessun italiano vivrebbe, ma noi ci riteniamo fortunati anche di avere un alloggio così perché certamente è molto meglio di niente».

Lo sfratto per interessi economici della padrona di casa

Il problema abitativo però torna a riemergere. «Dopo qualche anno, però – prosegue la testimonianza – siamo stati sfrattati per interessi economici della padrona di casa che voleva vendere la proprietà. Da quel momento è iniziata la nostra ricerca di una casa dove poter vivere serenamente, ricerca che è andata avanti due anni ed in cui siano stati affiancati, con professionalità e impegno dal Servizio Sociale e dalla Chiesa locale, ma a Faenza e dintorni nessuno affitta a un nigeriano, pur avendo mio marito un lavoro fisso e regolari documenti. Inoltre, a causa di gravi complicazioni burocratiche legate al riconoscimento della residenza e all’ottenimento del permesso di soggiorno, abbiamo aspettato quasi due anni per avere il riconoscimento dell’invalidità di mia figlia maggiore».

Finalmente una casa: “Ringrazio la Chiesa e le istituzioni faentine”

Le difficoltà burocratiche hanno poi finalmente avuto un lieto fine. «Quando, con l’aiuto di un avvocato della Comunità Papa Giovanni XXIII e della casafamiglia dove ho vissuto e che mi ha sempre accompagnato e indirizzato nel mio percorso, siamo riusciti ad avere residenza e riconoscimento dell’invalidità per mia figlia – dice la donna – finalmente abbiamo avuto tutte le carte in regola per richiedere un alloggio Acer di emergenza, che grazie all’intervento di Servizi Sociali e Comune, ci è stato assegnato così da permetterci finalmente di vivere in una condizione confortevole e serena». Al termine di questi anni difficili, la donna è consapevole dell’aiuto e dei segni di speranza che l’hanno accompagnata. «Voglio qui ringraziare di cuore la Chiesa e le istituzioni faentine – conclude la sua testimonianza – che hanno lavorato per noi perché potessimo arrivare alla situazione odierna»