Caro direttore,

passata la sbornia declamatoria del 25 aprile, Festa della Liberazione, e del 1° maggio, Festa dei lavoratori, ci siamo risvegliati con le serrande sempre chiuse e i capannoni ancora vuoti, cioè a fare i conti con i problemi di sempre. Avremmo bisogno di un programma di opere e progetti straordinari, da realizzare nel giro di pochi anni, che ci permetta anche di cogliere le opportunità offerte dai fondi del Pnrr. Ma non pare esserci piena consapevolezza di ciò.

In poco più di dieci anni a Faenza si sono perse oltre 1.000 imprese: erano 6.268 nel 2010 e si sono ridotte a 5.242 alla fine del 2021. In parte abbiamo subito gli effetti inevitabili dei processi di globalizzazione dell’economia mondiale, ma in parte stiamo pagando anche le conseguenze di una inadeguata gestione politica del territorio. Abbiamo assistito, senza opporre alcuna resistenza, ad una vera e propria emorragia di conoscenze, di competenze, di capacità che in buona parte poteva essere evitata e che ha causato perdite che non si recupereranno mai più. Sono sparite 150 aziende nel settore manifatturiero, tra cui molte dei settori della meccanica e della ceramica, vere e proprie eccellenze dell’economia faentina, ed oltre 200 nel comparto commerciale. Abbiamo dilapidato un patrimonio cospicuo nel comparto delle costruzioni, dove sono sparite centinaia di aziende valide, soppiantate da partite Iva camuffate, con un saldo negativo che supera le 100 unità.

E non serve dire che i vuoti lasciati da quelle aziende sono stati coperti dal settore dei servizi, perché una economia sana è un’economia bilanciata nelle sue diverse componenti e che, soprattutto, è capace di salvaguardare il patrimonio di conoscenze accumulato nei secoli e di far evolvere le proprie vocazioni senza rinunciare ad esse o tradirle. L’omologazione settoriale non solo ci espone a rischi maggiori sul piano economico, ma impoverisce il tessuto culturale e sociale su cui si fonda la città e ne riduce progressivamente la varietà morfologica ed urbanistica.

Cosa fare allora? Anzitutto occorre avere un quadro chiaro della situazione. E’ necessario cioè, avere a disposizione, attraverso un’indagine analitica e partendo dal Centro Storico, dei dati precisi ed aggiornati sullo “stato dell’arte”.  In particolare, occorre avere un fotografia puntuale di tutte le superfici non utilizzate per gli scopi a cui sono destinate che metta in condizione di capire quali misure, a livello di pianificazione,  di regolamenti, di incentivi e di agevolazioni potrebbero essere adottate per migliorare lo stato delle cose. Di un’identica indagine c’è bisogno anche per le aree artigianali ed industriali per progettare  efficaci interventi di dismissione ed aprire la strada a significative riconversioni di interi comparti oggi inutilizzati o sotto-utilizzati.

Questo lavoro, poi, dovrebbe costituire la base per elaborare un efficace Piano di marketing territoriale, inteso non come semplice promozione del territorio, ma come atto fondamentale di pianificazione e programmazione strategica, volto ad aumentare la competitività e l’attrattività del territorio nelle sue diverse articolazioni. Il Piano dovrebbe, oltre che definire una vision, cioè una messa a fuoco di tutti i temi core riguardanti il futuro della città, contenere un pacchetto organico di progetti, tale da incidere sulle situazioni maggiormente critiche, creare nuove opportunità di sviluppo, salvaguardare gli ecosistemi urbani e migliorare la qualità della vita.

Poco si sta muovendo in questa direzione, mentre aumentano di anno in anno gli spazi a destinazione commerciale, artigianale od ufficio non utilizzati, progrediscono il degrado e l’abbandono di alcune aree urbane e sul versante abitativo, assistiamo a questo particolare mismatch tra gli innumerevoli appartamenti non occupati, e le tante famiglie (non solo di stranieri) che cercano  abitazioni in affitto, senza riuscire a trovarle.

Ovviamente questa situazione ha avuto ed ha riflessi negativi anche sul versante dell’occupazione, in particolare giovanile, malamente coperti dal reddito di cittadinanza. Se da un lato dobbiamo registrare anche a Faenza valanghe di NEET, cioè di persone che non lavorano e non svolgono percorsi di formazione finalizzati alla ricerca di un’occupazione, dall’altro persiste una evidente divaricazione tra sistema scolastico e fabbisogno delle imprese che costringe, molto spesso, le Aziende locali, per le mansioni maggiormente qualificate, a fare ricorso a personale proveniente dall’esterno del nostro territorio.

Insomma c’è tanto lavoro da fare ed è ora che qualcuno cominci a farlo!  Subito!

18 maggio 2022

                                                                             Vittorio Ghinassi