Giovedì 24 febbraio è morto il maestro d’arte sacra Goffredo Gaeta. Era nato a Faenza nel 1937. Dopo gli studi presso l’Istituto Statale d’Arte per la Ceramica “Gaetano Ballardini” di Faenza, ci furono quelli all’Accademia di Belle Arti di Bologna e l’Istituto d’Arte di Firenze, seguendo i corsi di decorazione e affresco. Grande il suo interesse per nuove tecniche e nuove applicazioni, che ebbe modo di sperimentare e insegnare per oltre vent’anni alla Scuola di Disegno “T. Minardi” di Faenza.
Nella sua lunga esistenza non c’è stata solo arte. Volontariato, sport (per alcuni anni presidente del Faenza Calcio) e mondo del palio (caporione del Nero negli anni ’60) lo hanno visto impegnato in diversi ruoli. Senza dimenticare il legame con il premio Lorenzo Bandini e il pavone d’Oro, che lo hanno visto realizzare i rispettivi premi in ceramica. Senza dimenticare l’esperienza editoriale con La Faenza Editrice.

Ebbe poi a ristrutturare la vecchia cartiera in località Errano, facendola diventare il suo atelier, oltre che un luogo di incontro per artisti. In particolare grazie all’evento “Al chiodo”, esposizione di 50 opere, su altrettanti chiodi collocati sul muro esterno, che a settembre di ogni anno durava alcuni giorni. Con opportunità, per i visitatori, di entrare e ammirare anche le sue opere in esposizione permanente proprio all’interno della cartiera. Luogo per lui di progettazione e realizzazione di lavori diffusi nel mondo. Ceramiche, fusioni in bronzo, lavorazioni in marmo, murali e vetrate d’arte, talvolta fondendo più tecniche in una medesima opera. O nell’ambito di uno stesso progetto artistico.

Numerose le sue opere di arte sacra, presentate a papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI. O con le quali ha arricchito diverse chiese. Citiamo il duomo di Ascoli Piceno, al tempo in cui era vescovo il faentino monsignor Silvano Montevecchi, e la chiesa di Santa Maria Madre della Chiesa, a Rimini. Le vetrate di Santa Maria della Speranza a Cesena; vetrate e dipinto su muro a San Lorenzo in Cesarea, a Ravenna. Da ultimo, ma solo in ordine di tempo, quella dei santi Pietro e Girolamo, a Rastignano, periferia di Bologna. Tra ceramiche, marmi e vetrate, come non ricordare la porta in bronzo con San Pietro che tira la rete. Un capolavoro che aveva inizialmente progettato per la sua amata Faenza.

Le esequie del maestro, sono state celebrate sabato 26 febbraio in Cattedrale a Faenza con grande partecipazione di popolo, presente il sindaco Massimo Isola e numerosi rappresentati del mondo artistico e del Lions cittadino. Esequie presiedute dal vescovo della Diocesi di Faenza-Modigliana, monsignor Mario Toso, che alle due figlie, e ai familiari tutti, ha espresso cordoglio assicurando preghiera e cristiana vicinanza. E che, dopo aver inquadrato all’inizio della celebrazione la figura dell’uomo e dell’artista, ha lasciato al riminese don Tarcisio Tamburini il compito di pronunciare l’omelia. Momento in cui si è colto come, quel rapporto nato fra artista e parroco riminese, dall’installazione delle vetrate alla collocazione della Via Crucis in terracotta, negli anni si è trasformato in una vera e propria amicizia. Motivo per don Tarcisio, per sottolineare non solo la genialità dell’artista, ma anche la persona del cristiano in cammino ora giunto in cielo, dove “oggi ti faranno una gran festa”. Il feretro è stato poi tumulato nel cimitero cittadino, nel famedio dei faentini illustri.
Le offerte raccolte per l’occasione, sono state devolute agli Amici della Cardiologia di Faenza, caso mai fosse mancato qualcosa ancora a sottolineare il profondo legame di Goffredo Gaeta con Faenza.

Giulio Donati

“… e Dio vide che era cosa bella”

Vorrei in breve, ricambiare con commossa gratitudine la stima e la benevolenza di Goffredo Gaeta, nei miei confronti. Mi accosto, con alcune suggestioni bibliche, alla sua produzione artistica, nelle svariate tecniche, dalla ceramica alle sorprendenti vetrate. Con tale arte il maestro ha reso viva la teologia cristiana nel significativo mistero della salvezza. Nel vasto spazio della simbologia, delle rappresentazioni, della mimesis, scelgo la categoria di “figura”, elemento caro a sant’Ireneo che approda fino a oggi, ad esempio, al filologo Erich Auerbach, e la categoria di “analogia”, che dall’antichità classica arriva almeno al filosofo Iean-Luc Marion. Ci conforta l’assioma dello studioso contemporaneo della mistica, Michel de Certeau: “La cultura è il linguaggio di una esperienza spirituale”.

Come prima suggestione, vedo le opere di Gaeta, in analogia alle opere del Creatore, nel racconto genesiaco, le quali fanno nascere, impastando la terra, Adamo, un antico e nuovo umanesimo salvifico per lo scenario del nostro tempo.

Un secondo quadro lo avverto nel miracolo di Gesù che, mescolando terra e saliva, apre gli occhi del cieco. Come non scoprire che le terre di Gaeta sprigionano una catartica luce per gli occhi, anche dell’anima, terre come materia intrisa di trascendenza nelle venature e nei bagliori dell’oro?

Infine, cito la figura del ricercatore saggio del vangelo, che compra quel campo dove è nascosta una perla di grande valore.
Il Maestro ha estratto dalla terra preziose perle. Un patrimonio di arte e di fede che chiamano alla mimesis, alla “sequela”, alla speranza. Concludo presentando un frammento di Benedetto XVI dalla Lettera agli Artisti, del novembre 2009: “Il momento attuale è purtroppo segnato, oltre che da fenomeni negativi a livello sociale ed economico, anche dall’affievolirsi della speranza, da una certa sfiducia delle relazioni umane, per cui crescono i segni di rassegnazione, di aggressività, di disperazione… Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiate l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo all’orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione, se non la bellezza? … Voi sapete bene che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta a un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello”.

Dante Albonetti