Dare un nome e un volto alle persone che per strada etichettiamo su basi etniche o culturali. Entrare nelle loro case per mettersi al loro servizio e costruire relazioni che fanno superare i pregiudizi. Insegnare come si risolve un’equazione, prendere un caffè assieme e, al tempo stesso, costruire passo dopo passo strade di vera integrazione. Joy Vashisht, 19 anni, è uno scout del gruppo Faenza 3 della parrocchia di San Marco. Da qualche mese dedica parte del proprio tempo a un servizio coordinato dalla Caritas. Una volta a settimana il giovane aiuta nella preparazione dei compiti una ragazzina Rom delle scuole medie recandosi nella sua abitazione. Una scelta di servizio non scontata per un giovane da poco maggiorenne che ha deciso di mettersi in gioco.
Attraverso Caritas e Farsi Prossimo, il giovane scout di 19 anni è entrato a contatto con questa realtà
La proposta allo scout è arrivata dalla Caritas stessa, che segue da tempo questo nucleo famigliare. «Ho conosciuto la referente Caritas, Barbara Lanzoni, lo scorso anno – racconta Joy – con il nostro clan stavamo svolgendo un percorso legato proprio al tema dell’integrazione nel quale erano coinvolti anche Caritas e l’organizzazione di volontariato Farsi Prossimo e da lì è arrivata questa nuova proposta di servizio che in un certo senso prosegue quel cammino». All’interno dell’educazione scout, i giovani del clan (dai 17 ai 21 anni, ndr) sperimentano varie realtà di servizio: al Faenza 3 per esempio c’è l’aiuto compiti ai bambini di San Marco o Sant’Antonino, la mensa dei poveri al Paradiso, attività di supporto alle vaccinazioni al drive through. «A settembre pensavo di svolgere un servizio all’interno dell’associazione, magari come aiuto capo ai lupetti o in reparto – ricorda Joy -. La proposta di servizio della Caritas di supportare una famiglia Rom nell’aiuto compiti della primogenita mi ha colpito molto, anche perché non mi ero mai interfacciato direttamente con la realtà Rom, e i miei capi scout mi hanno aiutato nel superare qualche timore iniziale».
E già nel primo giorno trascorso nella casa di questa famiglia, a novembre, tanti pregiudizi sono caduti. «Ammetto di aver avuto un po’ di preoccupazione, trovandomi di fronte a un contesto che non conoscevo. La famiglia si è dimostrata però subito molto grata dell’aiuto ricevuto – commenta Joy – e al termine dei compiti i genitori mi dicono sempre parole di ringraziamento. La prima volta che ho svolto aiuto compiti con la figlia, la famiglia mi ha offerto un caffè, e questo semplice gesto mi ha stupito molto e ha fatto cadere tanti pregiudizi. In generale è un servizio molto gratificante».
“Vivere esperienze concrete ti dà maggiore consapevolezza sul tema dell’integrazione”
Mettendosi a servizio come loro pari, Joy si mette fianco a fianco della ragazza e la aiuta nei compiti. In particolare in Matematica, dove l’alunna ha qualche lacuna. «Pur con qualche difficoltà, ha tanta voglia di imparare e i risultati scolastici sono già migliorati. Dietro a questo servizio c’è molto più dei compiti. A volte capita di confrontarmi con lei su vari temi: amicizia, scuola, sport. Una domanda che mi ha fatto e che mi ha colpito è stata: ‘Te, hai mai sofferto per un amico?’». Anche dialogando su questi temi si costruiscono strade d’integrazione. «Cerco sempre di farle capire comunque che quello che faccio io, così come altri operatori Caritas, non è scontato e bisogna essere grati per l’aiuto ricevuto. Anche con i genitori ho parlato diverse volte, per esempio, delle difficoltà burocratiche nel trovare lavoro. Mi ha fatto tenerezza poi che alla fine di una lezione, la mamma mi abbia chiesto di aiutarla a imparare a scrivere. Uno dei pregiudizi maggiori che ho superato è il fatto che non è vero che le famiglie Rom non vogliano integrarsi». Il servizio ha reso più sicuro Joy nel confrontarsi con altre persone o con i suoi coetanei su questi aspetti. «Penso che sul tema dell’integrazione ci sia spesso troppa voglia di dire la propria opinione senza conoscere bene l’argomento – dice -. Si parla per sentito dire oppure limitandosi a riportare quello che dicono i propri genitori o i social. Vivere esperienze concrete, invece, ti dà una consapevolezza preziosa».
Samuele Marchi