Arrendersi non è un’opzione, una frase fulminante e bellissima, credibile se pronunciata da Carlotta Gilli, medaglia d’oro ai Giochi paralimpici di Tokyo 2020 e affetta della Malattia di Stargardt (forma di distrofia ereditaria della macula) che le ha ridotto la vista a un decimo.

Dobbiamo affrontare la vita come nei popolari giochi di carte che tutti conosciamo: scopa, briscola, tressette. Non siamo noi a dare le carte, e quando le riceviamo sappiamo che dobbiamo fare il nostro gioco nel modo migliore possibile. Il segreto della felicità, per una vita soddisfacente e ricca di senso, si avvicina proprio allo spirito dell’atleta paralimpico. Che non è paralizzato dal dolore per il proprio limite e vincolo, ma fa leva su quel limite per lanciarsi in avanti e darsi l’obiettivo di fare il massimo possibile ritagliandosi una sfida adatta alla propria situazione.

Si tratta di qualcosa di più che semplicemente abbassare l’asticella delle aspettative per evitare che esse siano frustranti e irrealizzabili, come la volpe verso l’uva nella famosa favola di Esopo. L’atleta paralimpico abbina infatti all’abbassamento dell’asticella l’orientamento di energie ed espressività verso un fine e un traguardo difficile, ma raggiungibile e proporzionale alle sue capacità.

Tutti invecchiano

Gli atleti paralimpici non sono degli sfortunati che noi “sani” possiamo compatire e osservare con la soddisfazione di essere diversi. Nella vita siamo tutti atleti paralimpici perché con il passare degli anni gli ostacoli e i limiti sono destinati ad aumentare progressivamente. Se per un ragazzo nelle gare scolastiche la sfida è il tempo di una corsa campestre, per un novantenne è terminare il giro del palazzo ogni giorno per tenersi in forma sotto braccio a un o a una badante; anche se non mancano storie da Guinness dei primati come quella di Julia Hawkins, che ha stabilito il nuovo record del mondo nei 100 metri per la sua categoria d’età, over 105, con 1.02.95. “È stato meraviglioso vedere così tanti familiari e amici. Ma volevo farlo in meno di un minuto”, ha detto a gara conclusa.

Il progresso medico straordinario dei nostri giorni ci pone di fronte a sfide nuove e inedite sul tema. Nella generazione precedente alla nostra il passaggio dalla vita adulta alla vecchiaia era brusco e la vecchiaia più breve. Oggi la potenza delle cure unita al welfare ha, sì, aumentato l’aspettativa media di vita in buona salute, ma ha anche accresciuto significativamente gli anni di vita media in cui la popolazione è affetta da patologie gravi. E la domanda su cosa è la vita quando non siamo nel pieno delle nostre forze e della nostra vitalità diventa una domanda sempre più pressante ed emergente, che ci interroga direttamente o indirettamente. Essa ci assedia di fronte alle difficoltà di salute di amici, parenti e familiari e apre tutto il dibattito sul fine vita tra eutanasia e accanimento, che non a caso oggi è all’ordine del giorno.

Senza voler qui, oggi, dirimere la questione dal punto di vista legislativo o politico val la pena ricordare come lo spirito dell’atleta paralimpico ci dà una bella carica su come affrontare personalmente ed esistenzialmente la questione. Lo sport, si dice, è una bella metafora della vita, che trasforma il conflitto bellico in competizione con regole, e fa capire che con sacrifici e impegno è possibile dare pienezza alla nostra “libertà per” e alla “libertà da” anche ponendo limiti a quella “libertà di” fare qualcosa che un sottoprodotto della cultura contemporanea considera l’unica possibile. Lo sport paralimpico è una metafora ancora più bella e pura dello sport agonistico dei ‘normodotati’. Mettiamoci in ascolto, che ci fa bene!

Tiziano Conti