Mancano i lavoratori stagionali. La causa? Alcuni puntano il dito sulla pigrizia dei giovani, una delle categorie che potrebbe coprire questo settore, essendo l’estate più libera dallo studio e dall’attività di formazione. Troppo svogliati o allettati dalla possibilità di non fare nulla ed essere pagati, l’accusa.
Oltre a questo, c’è il reddito di cittadinanza, una misura che secondo i detrattori starebbe disincentivando al lavoro molti giovani, specie non qualificati. Viene visto come più conveniente percepire il sussidio, anziché alzarsi presto la mattina per recarsi al lavoro nei campi o negli stabilimenti balneari.
Il quadro sul lavoro stagionale è però più complesso, e quelli appena descritti sono solo una parte del problema. L’estate per molti giovani è anche lavoro. Dalla campagna al mare, dalle piscine ai ristoranti, in tanti si alzano per portare a casa qualche soldo nel periodo di non studio. Abbiamo girato così la domanda a chi fa “la stagione” nel settore agricolo.
Raccogliere la frutta da studente
Francesco (il nome è di fantasia per mantenere l’anonimato) ha 20 anni, studia, e da quando ne ha 16 passa le sue estati a raccogliere la frutta nelle campagne faentine. «In nero la maggior parte del tempo – dice – poche volte sono stato messo in regola. Ho lavorato dieci settimane di fila, per esempio, e mi hanno messo in regola per soli tre giorni».
Con lui, tanti altri lavoratori «gente che a stento parla italiano, principalmente dall’est Europa». Tra questi alcuni sono “fissi”, cioè lavorano nel campo tutto l’anno solare, e spesso sono in regola.
«Per trovare lavoro sfrutto la rete di conoscenze – continua -. Mi informo sulla paga e decido dove andare». Arriva il “primo giorno di lavoro”, che ormai per Francesco è prassi «ti accordi per l’orario, d’estate le sette, le otto a primavera, di mattina. Se sei nuovo il proprietario ti spiega come fare, poche parole, poi se ne va. Alcuni stanno lì dieci minuti, altri tornano varie volte durante il giorno e controllano il lavoro svolto». Il rapporto con datore di lavoro alle volte non è proprio cordiale, come nel caso «di due ragazzi, appena arrivati dall’est Europa, a cui è stato detto starsene a casa dopo poche ore di raccolta». Quando arrivi c’è gente che è già sul posto: «alcuni lo fanno per fare vedere che sono più bravi, altri perché pensano che così verranno richiamati o non perderanno il loro posto».
L’incognita retribuzione
L’orario, normalmente di otto ore, può variare: «ho fatto anche nove ore, sino a undici. È stato una volta dalle 7 di mattina alle 20, con due ore di pausa. Non ci sono più tornato. Mi hanno poi detto che hanno passato due settimane così».
Nulla di eccezionale, verrebbe da dire, se non che «alle volte c’è la certezza che non ti venga riconosciuto tutto lo straordinario che hai fatto, oltretutto in nero».
Alla fine, arriva il giorno di paga: «io prendo sette euro l’ora. Non sono mai sceso sotto i sei euro. So comunque di alcuni che hanno preso di meno». Ci sono anche aspetti positivi che emergono: «ogni tanto capita che qualcuno resti indietro nella fila. Allora vedi magari quello che è più avanti aiutare chi è rimasto indietro. Questa solidarietà è davvero rassicurante. Ti fa capire il valore delle persone».
Perchè non si trova personale?
A Francesco allora abbiamo posto la domanda: perché non si trovano stagionali? «Nella frutta, credo, anzitutto perché non vengono rispettati i contratti. La vera domanda è: perché un imprenditore fa dei contratti di questo tipo? Non hai mai la certezza delle ore, non hai mai la certezza che arrivi lo stipendio. C’è tanta gente che ha fatto anche venti ore in un mese senza venire pagata».
Ma non è solo questo: «i più giovani vengono trattati come quelli che non hanno voglia di lavorare, ma allo stesso tempo i datori di lavoro non prendono il tempo di insegnar loro accorgimenti per andare più veloce o migliorarsi, pretendendo che sappiano già fare tutto».
Mattia Randi