«Il Servizio sanitario nazionale si sta lentamente depotenziando. E sul nostro territorio gli effetti sono già evidenti». È un quadro allarmante quello che tratteggia Marco Palagano, sindacalista della Fp Cgil, responsabile per il personale comparto infermieristico, sanitario e socio-sanitario dell’Ausl Romagna. Dalle sue parole emerge il racconto di una crisi strutturale, fatta di carenza di risorse, abbandoni, carichi di lavoro insostenibili e crescente disillusione tra chi ogni giorno tiene in piedi il sistema: operatori sanitari, infermieri, oss. Negli ultimi vent’anni, il progressivo definanziamento della sanità pubblica (i costi in aumento non sono coperti dalle risorse dedicate) ha spostato l’asse dell’assistenza verso il privato, un processo che – secondo Palagano – «non è casuale, ma frutto di una scelta politica precisa. Nel pubblico vediamo varie riorganizzazioni, alcune delle quali sembrano più riduzioni. A pagarne il prezzo, però, sono soprattutto i territori, come Faenza, dove i servizi offerti dal presidio ospedaliero dopo il periodo di consolidamento del recente passato sono stati via via ridimensionati e il personale sanitario costretto a operare in condizioni sempre più difficili. La situazione del presidio ospedaliero di Faenza – denuncia Palagano – è il riflesso locale di una crisi più ampia. Alcune specialità sono state trasferite, altre accorpate, e ciò che prima si faceva qui ora in qualche caso non si fa più».

Chirurgia e Pediatria a Faenza. Cgil segnala criticità

Una delle criticità più evidenti riguarda la chirurgia: «Si è voluto attivare un asse organizzativo Faenza-Forlì, ma in questo assetto Faenza è in evidente disequilibrio. I letti di degenza sono stati tagliati, il personale è sotto pressione. Il cittadino può ovviamente andare dove vuole ma se la scelta è dettata dal fatto che i servizi nell’ospedale di prossimità si riducono o si dilatano i tempi per poter accedere è una scelta forzata». Anche in cardiologia e pediatria, nonostante le recenti rassicurazioni degli enti pubblici, la situazione è complicata. In particolare, fa discutere il nuovo assetto sperimentale nel quale il coordinatore infermieristico dei reparti di Faenza e Lugo si troverebbe a gestire anche il reparto di Chirurgia Pediatrica del presidio ospedaliero di Rimini. Una scelta che espone anche altri operatori sanitari a responsabilità non previste dal loro profilo giuridico, con un impatto negativo sia sul benessere professionale che sull’assistenza ai pazienti scelte di questo tipo non parlano il linguaggio della riorganizzazione, ma della diminuzione della presenza e della capacità di risposta. La situazione si inserisce in un quadro di cronica carenza di personale. «Un’unica figura che coordina due reparti distanti e complessi: impossibile garantire un’efficace supervisione. L’attività ordinaria viene demandata ad altri, con un ulteriore carico per chi resta. C’è stato di recente un incontro tra l’azienda e i dipendenti proprio per fare chiarezza su questi temi, ma dall’Ausl nessun passo indietro».

Stress lavorativo: c’è chi lascia

Allargando lo sguardo sul sistema nel suo complesso, le condizioni di lavoro, racconta Palagano, sono ormai al limite: «Ci sono reparti con dotazioni organiche previste da sei infermieri, ma ne mancano almeno due. Non solo non si coprono i vuoti, ma si lavora costantemente in sotto-organico». Il risultato? «Doppi turni, ferie non godute, richiami in servizio nei giorni di riposo. Chi lavora in sanità oggi è costretto a sacrificare tutto: tempo, salute, dignità». Non è solo un problema numerico. «L’azienda – prosegue il sindacalista – sostiene che i dipendenti in termini assoluti sono aumentati. Ma sono aumentati anche i servizi: i nuovi Cau, le Case della salute, l’assistenza territoriale. Ogni nuovo servizio necessita di personale, ma non c’è stato un adeguamento proporzionale. Eravamo già in sofferenza prima, oggi la situazione è peggiorata». Un dato che fa riflettere riguarda il numero di operatori che stanno abbandonando il servizio pubblico. «Ricevo telefonate da personale che mi chiede come si fa a dimettersi. Persone che non sono nemmeno iscritte al sindacato, che non conosco. E questo accade sempre più spesso». Alcuni migrano verso il privato quando garantisce orari più umani, altri cambiano del tutto mestiere. «Infermieri che diventano impiegati, oss che cercano lavoro nel commercio. È il segno di un disagio profondo. Quando il tuo lavoro ti logora al punto da spingerti a lasciarlo, qualcosa si è rotto». E questo si evince anche a partire dalla base, dal mondo della formazione. Infermieristica è una della Facoltà su cui Faenza ha puntato molto, a livello strategico, negli ultimi anni. «Si tratta di facoltà a numero chiuso – commenta Palagano – ma nell’ultima sessione di anno accademico non sono stati raggiunti i numeri limite. È segno che le professioni sanitarie risultano ormai poco attrattive».

I Pronto soccorso sono tra i reparti più colpiti


I Pronto soccorso sono tra i reparti più colpiti. A Faenza, nel 2024, gli accessi sono aumentati del 3,8%. «Un iper-afflusso che genera stress sugli operatori e frustrazione tra gli utenti. Quando non ti senti accolto, e chi ti accoglie è stremato, scatta la tensione. E si arriva anche alle aggressioni, come è successo anche nel nostro territorio». Il problema, secondo Palagano, è che «gli operatori sono schiacciati tra una domanda crescente e tempi sempre più contingentati. Oggi la burocrazia ruba tempo all’assistenza: mentre aumentano la complessità dei pazienti e la loro età media, aumentano anche i compiti gestionali e i controlli. Il tempo per la relazione umana si è ridotto quasi a zero, e questo a danno di tutti: operatori e persone in cura». Anche il tema contrattuale è fonte di forti tensioni. Il rinnovo per il triennio 2022-24 prevede un incremento salariale del 5,78%, a fronte di un’inflazione nel periodo pari al 17%. Questa che di fatto è una riduzione del potere di acquisto dei salari degli operatori «è inaccettabile. Non c’è alcuna valorizzazione reale della professione sanitaria. Il Governo pensa di risolvere detassando gli straordinari: ma per guadagnare di più, dovrei lavorare ancora di più? È un paradosso». Senza contare le divisioni interne: «La detassazione riguarda solo alcune figure, come gli infermieri. Ma un tecnico di laboratorio? Un fisioterapista? È una scelta divisiva e sbagliata». Per Palagano, la via d’uscita esiste, ma va imboccata con decisione: «Servono risorse, vere. Dobbiamo recuperare tutto ciò che abbiamo perso negli anni, sia in termini economici che di personale.
Il sistema sanitario nazionale è arrivato al limite. Oggi si regge sulle spalle di chi lavora. Ma fino a quando sarà sostenibile?» La risposta, conclude il sindacalista, deve essere politica: «La sanità pubblica deve tornare al centro dell’agenda. Basta retorica. Durante la pandemia eravamo tutti eroi, oggi siamo dimenticati. Se non cambia qualcosa, chi risponderà alla domanda crescente di salute, sarà il privato? Pagato direttamente dai cittadini che se lo potranno permettere o magari con soldi pubblici con il piccolo particolare che al sistema pubblico costa meno produrle le prestazioni piuttosto che acquistarle. A pagare saranno sempre i cittadini. Serve una visione nuova, fondata sul diritto sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Il diritto alla salute non può diventare un lusso per pochi».

Samuele Marchi