Domenica 8 giugno in Cattedrale il vescovo monsignor Mario Toso ha celebrato la solenne messa di Pentecoste. Alla celebrazione erano presenti in tanti in rappresentanza di movimenti, associazioni e della Consulta delle aggregazioni laicali. Di seguito riportiamo l’omelia di monsignor Toso.

L’omelia

Cari fratelli e sorelle, fratelli presbiteri e diaconi, mediante il Battesimo l’uomo viene immerso nell’acqua, nella morte del Signore, perde il respiro, per acquistare una nuova figliolanza, un nuovo soffio vitale, una nuova vita. Mediante il dono nel Battesimo dello Spirito di Dio, portato a compimento nella Confermazione, e rinnovato continuamente nell’Eucaristia, ognuno di noi è reso «figlio adottivo» (Rm 8,15), «erede di Dio, coerede di Cristo» (Rm 8,17).

E cosa vuol dire essere figli di Dio? Vuol dire diventare come il vero Figlio di Dio, assumere i tratti distintivi di Gesù Cristo, conformarci intimamente a Lui, imitando la sua vita: vivere in Lui, essere figli nel Figlio.

In noi lo Spirito, che ci fa vivere Cristo, ci fa gridare «Abbà! Padre!». Ci orienta a Dio come unica fonte di pienezza, poiché Gesù per primo ha vissuto la sua missione tutto rivolto al Padre. Cristo per primo nella sua vita terrena era rivolto costantemente alla volontà del Padre, lo pregava incessantemente, e a noi ha insegnato a pregarlo così: «Padre nostro». Lo Spirito santo, che ci insegna ogni cosa e ci ricorda tutto ciò che Cristo ha fatto e detto (cf Gv 14,26) ci inserisce nella relazione di Cristo con il Padre. Tutte le volte che ci rivolgiamo a Dio non possiamo che entrare nell’ininterrotta comunione d’amore della Trinità. Questo è la preghiera, la sostanza di ogni spiritualità cristiana: un dialogo intimo rivolto al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. Per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo, possiamo dare del “tu” a Dio, chiamarlo “Padre nostro”, entrare in comunione con Lui, poiché in questo amore il Signore ci promette che «viene in noi e prende dimora presso di noi» (cf Gv 14,23).

Il dono dello Spirito Santo ci fa uscire dai nostri cenacoli autoreferenziali, dai nostri gruppi ove la condivisione delle nostre idee ci rinchiude sovente in orizzonti ristretti. Lo Spirito ci insegna nuove “lingue”, nuovi linguaggi, ci apre a nuovi orizzonti in cui annunciare le «grandi opere di Dio» (At 2,11). Il 6 giugno, papa Leone XIV, rivolgendosi ai moderatori e ai responsabili delle aggregazioni ecclesiali, ricevuti nella sala Clementina, li ha sollecitati a collaborare nell’essere lievito di unità nel mondo così lacerato dalla discordia e dalla violenza e a mettere i talenti a servizio  della missione per raggiungere tanti che sono lontani.

scout a pentecoste

Mi piace qui ricordare l’esperienza straordinaria di sei anni fa con la quale si concludeva il Sinodo dei Giovani con la celebrazione di Pentecoste (cf M. Toso, Omelia di chiusura fase celebrativa del Sinodo dei giovani, 9 giugno 2019). Allora, mi parve di percepire nella nostra Chiesa, dopo una intensa preparazione e la celebrazione dello stesso Sinodo, una brezza leggera, quella dello Spirito, che teneva tutti insieme in una dinamica unità, e sospingeva a guardare in avanti con speranza.

Mentre in questo anno giubilare del 2025, stiamo ancora percorrendo con convinzione il cammino sinodale nel solco degli orizzonti tracciati da papa Francesco, non possiamo che ringraziare lo Spirito per i doni che vediamo germogliare. Stiamo comprendendo sempre meglio l’importanza della corresponsabilità dei laici nella vita della Chiesa, l’importanza della conversione delle relazioni e dei processi ecclesiali, in modo da rivitalizzare le strutture e le istituzioni che servono per la missione. Poiché ogni battezzato è chiamato ad essere discepolo-missionario, anche la presenza stessa della Chiesa nel nostro territorio non può conservare schemi pastorali sclerotizzati che rinserrano l’azione pastorale in una sterile ripetitività, in dinamiche senza slancio missionario.

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

mentre celebriamo l’Anno di grazia del Giubileo, lasciamoci condurre dallo Spirito Santo, facciamoci plasmare dalla sua silenziosa ed intima presenza. Fidiamoci della Chiesa, camminiamo tutti insieme nella fedeltà al Vangelo, ricomponendo le frammentazioni, riparando, specie col perdono, le fenditure dell’imbarcazione in cui tutti ci troviamo. Tutti insieme siamo chiamati a ricostruire la credibilità di una Chiesa ferita.

Facciamo nostro l’invito di papa Leone: «con la luce e la forza dello Spirito Santo, costruiamo una Chiesa fondata sull’amore di Dio e segno di unità, una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità» (Leone XIV, Omelia inizio ministero petrino, 18 maggio 2025).

In vista di essere missionari, lievito di unità corresponsabile, lo Spirito santo ci aiuti a superare la tentazione dell’autoreferenzialità. Nell’omelia della santa Messa delle sue prime ordinazioni presbiterali da papa, Leone XIV ha ricordato che «l’autoreferenzialità spegne il fuoco dello spirito missionario».[1] Se noi con le nostre associazioni, aggregazioni e movimenti camminiamo con deboli legami rispetto alla comunità parrocchiale, al Corpo di Cristo, ai pastori, rischiamo di perdere l’impulso missionario, di diventare di fatto indifferenti nei confronti delle esigenze del suo Vangelo. L’autoreferenzialità può portare addirittura a sostituirci allo stesso Gesù, a scavalcarlo. Il proprio carisma, invece, è ministeriale all’incontro con Cristo, alla crescita e alla maturazione umana e spirituale, all’edificazione della Chiesa, della comunità. Si capisce meglio, allora, quanto sempre papa Leone ha detto ieri sera ai movimenti, alle aggregazioni ecclesiali  e alle nuove comunità in piazza san Pietro: «Siate dunque legati profondamente a ciascuna delle Chiese particolari e delle comunità parrocchiali dove alimentate e spendete i vostri carismi. Attorno ai vostri vescovi e in sinergia con tutte le altre membra del Corpo di Cristo agiremo, allora, in armoniosa sintonia».

Lo Spirito santo oggi donatoci, ci fa vivere con maggiore intensità la comunione con Gesù Cristo, con il suo Corpo, nel quale siamo uno con il Figlio di Dio. Accresce l’ardore della missionarietà. Alimenta in tutte le componenti ecclesiali il desiderio di essere costruttori della comunione con Cristo, nella Chiesa e nel mondo. Abilita a strutturare l’armonia tra i vari soggetti ecclesiali, associativi o di partecipazione, in termini di umile complementarità nel servizio, perché nessuno è cristiano da solo.[2] Sospinge a rendere sempre più la Chiesa Sposa fedele di Cristo, del Cristo totale, che lavora per redimere tutti e tutto, integralmente. La giusta cura per la propria associazione, per il proprio movimento, per il gruppo ministeriale, non può portare all’impoverimento della comunità parrocchiale, diocesana, in definitiva della Chiesa universale. Non può volere l’indebolimento dell’annuncio, dell’educazione alla fede, dell’evangelizzazione del sociale, di una spiritualità che si incarna, conscia della dimensione pubblica della fede.

Tutto il contrario.

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Come è stato bello il giorno dell’ordinazione di don Stefano Lega. Si è vissuta una partecipazione numerosa e sentita. Si è percepita la gioia di essere Chiesa viva, operosa nel discernimento vocazionale, riconoscente al Signore, che invia operai nella sua vigna.

Le nostre comunità appaiono vitali, attrattive per le nuove generazioni, quando si è tutti corresponsabili dell’annuncio, della catechesi, della testimonianza, della creazione di una nuova cultura cattolica; quando si diventa tutti insieme tempio di Dio. Si cresce come cristiani in comunità, ove Cristo riunisce i suoi discepoli in suo nome. La nostra unità ha il suo fondamento in Cristo: Lui ci attrae a sé e così ci unisce anche fra noi. Così, ne parlava San Paolino di Nola scrivendo a Sant’Agostino: «Abbiamo un unico capo, unica è la grazia che ci inonda, viviamo di un unico pane, camminiamo su un’unica strada, abitiamo nella medesima casa. […] Noi siamo una cosa sola, tanto nello spirito che nel corpo del Signore, per evitare di essere nulla se ci separiamo da quell’Uno» (Lettera 30, 2).

Che Maria, Madre della Chiesa, Madre che fin dal cenacolo non ha mai abbandonato gli Apostoli e noi suoi figli, ci accompagni attraverso le difficoltà della vita, perché possiamo giungere a Cristo, gioia senza fine, speranza che mai tramonta.

                                            Mario Toso, vescovo


[1] LEONE XIV, Omelia, sabato 31 maggio 2025.

[2] «La vita cristiana non si vive nell’isolamento, come se fosse un’avventura intellettuale o sentimentale, confinata nella nostra mente e nel nostro cuore. Si vive con gli altri, in un gruppo, in una comunità, perché Cristo risorto si rende presente fra i discepoli riuniti nel suo nome» (Leone XIV, Ai moderatori delle associazioni dei fedeli, dei movimenti ecclesiale delle nuove comunità 6 giugno 2025).