Un “oggi” pieno d ferite e smarrimenti, ma anche di luce e speranza ha fatto da sfondo alla Messa del Crisma celebrata giovedì 17 aprile nella Cattedrale di Faenza. Monsignor Mario Toso ha guidato l’intera comunità diocesana, riunita attorno ai suoi presbiteri, in un’intensa riflessione sul significato profondo del ministero sacerdotale, sulla chiamata alla comunione, e sull’urgenza di una Chiesa che, animata dallo Spirito, viva il proprio tempo come oggi di grazia.
Nel cuore della sua omelia, il vescovo ha intrecciato il lieto annuncio del Vangelo con le sfide contemporanee, tra guerre, alluvioni, solitudini e smarrimenti. Ha esortato i presbiteri a riscoprire la radice del proprio sì, nel segno dell’amore di Cristo che dà senso a ogni relazione e scelta. Ha indicato, nella figura di san Pier Damiani, un modello di sintesi tra solitudine e comunione, e ha rilanciato il cammino sinodale come via concreta per una Chiesa sempre più missionaria, fraterna e profetica.
Non è mancato il ringraziamento ai sacerdoti per la loro dedizione quotidiana e la celebrazione degli anniversari di ordinazione, segno tangibile di fedeltà e dono. Infine, l’annuncio gioioso della prossima professione perpetua di due monache del Monastero di Santa Umiltà ha suggellato un’omelia che ha saputo tenere insieme il passato, il presente e la profezia del futuro: camminare “pellegrini di speranza” con il Vangelo in mano e l’amore nel cuore, per costruire un mondo nuovo, a misura del Regno di Dio. Di seguito l’omelia in versione integrale.
L’omelia del vescovo Mario

In questa Santa Messa del crisma, manifestazione della comunione dei presbiteri con il proprio vescovo, abbiamo ascoltato l’inaudita parola del Signore, che proclama «oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). Nel nostro oggi il Signore Gesù continua ad essere «il lieto annuncio» destinato ad ogni uomo, soprattutto ad ogni povero, ad ogni ultimo e piccolo di questo mondo; nel nostro oggi, Cristo è la liberazione, la libertà di ogni oppresso, la vista di ogni cieco, Colui che proclama l’anno di grazia. Abbiamo ormai imparato nel Giubileo della speranza che questo anno di grazia è espressione della costante presenza del Signore nella Chiesa, comunità che annuncia, celebra e testimonia nella carità la sua Pasqua.
Allo stesso tempo, non possiamo nascondere che l’oggi di cui parla Gesù è segnato dalle ferite del peccato e della morte. Il tradimento, la violenza, la solitudine, la mancanza di orientamento, la frammentazione, sono elementi che caratterizzano in maniera drammatica non solo la passione del Figlio di Dio, ma il nostro tempo, segnato da alluvioni, guerre, individualismi, indifferenze, disuguaglianze sociali ed economiche.
In questo oggi, non in un oggi astratto, il Signore vuole incontrarci: ci raduna per farci sperimentare l’ampiezza e la bellezza dell’unità, della comunione, della fraternità, della Chiesa.
È significativo che la Chiesa ci convoca ogni anno, alle soglie del Triduo pasquale, per farci ripetere le promesse della nostra ordinazione: vogliamo continuare a rinunciare a noi stessi, spinti dall’amore di Cristo, perché il nostro ministero sia guidato non da interessi umani, ma dall’amore per i nostri fratelli? Questa domanda che ci coglie mentre siamo indaffarati nella preparazione delle celebrazioni pasquali, deve risvegliarci, per farci tornare alla radice della nostra vocazione: l’amore di Cristo e dei fratelli, che trova compimento nella sua morte e risurrezione. Solo tornando all’amore di Cristo, al suo sguardo d’amore verso di noi, la nostra vita acquisisce significato, trova il senso profondo in ogni azione e relazione. In proposito è particolarmente valida per noi e il nostro tempo la caratteristica centrale della personalità di San Pier Damiani, le cui spoglie veneriamo in questa nostra magnifica cattedrale, vale a dire la felice sintesi tra la vita eremitica e l’attività ecclesiale, l’armonica tensione, come scrisse papa Benedetto XVI, tra i due poli fondamentali dell’esistenza umana: la solitudine e la comunione.[1]
A voi fratelli nel ministero, nel servizio al popolo santo che è in Faenza-Modigliana, va il mio ringraziamento per la vostra collaborazione specie durante la visita pastorale da poco conclusa. Vi ringrazio per i pesi e le responsabilità che avete portato e che continuate a portare quotidianamente per il ministero a voi affidato. Non c’è consolazione migliore dello stesso Vangelo che ci promette che «non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa [di Gesù] e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc 10,29-30). In modo particolare, faccio a nome di tutti, gli auguri a Mons. Vasco Graziani, don Bruno Malavolti, don Attilio Venieri, don Tommaso Dalle Fabbriche e don Anselmo Fabbri per i 70 anni di ordinazione presbiterale; ugualmente a don Pellegrino Montuschi nel 50°, e a don Marco Farolfi e don Mirko Santandrea nel 25° anniversario di ministero, va il nostro più sincero augurio.
Continuate a coltivare le relazioni fraterne fra di voi e con le persone che avete accanto, poiché è nella relazione, nell’incontro sincero con l’altro, che possiamo vivere serenamente la sequela del Risorto, percepire l’appartenenza ad una stessa famiglia, ove ci uniscono legami fraterni e di amicizia.
Mi piace annunciare qui, per la fine del prossimo mese di maggio, la professione perpetua di due giovani monache del Monastero di Santa Umiltà. Ringraziamo il Signore.

Sollecitati dal cammino sinodale a tutti i livelli della Chiesa, la nostra Diocesi non vuole perdere la spinta rinnovatrice di questi anni. Continuiamo a concretizzare l’incontro fra vita e fede, fra mondo e Vangelo. Come si può leggere nel Documento finale della XVI assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi: «La sinodalità non è fine a sé stessa, ma mira alla missione che Cristo ha affidato alla Chiesa nello Spirito. Evangelizzare è “la missione essenziale della Chiesa […] è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità profonda” (EN 14). Facendosi prossime a tutti, senza differenza di persone, predicando e insegnando, battezzando, celebrando l’Eucaristia e il sacramento della Riconciliazione, tutte le Chiese locali e la Chiesa intera rispondono concretamente al comando del Signore di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19-20; Mc 16,15-16). Valorizzando tutti i carismi e i ministeri, la sinodalità consente al Popolo di Dio di annunciare e testimoniare il Vangelo alle donne e agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, facendosi “sacramento visibile” (LG 9) della fraternità e dell’unità in Cristo voluta da Dio. Sinodalità e missione sono intimamente congiunte: la missione illumina la sinodalità e la sinodalità spinge alla missione» (Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione. Documento finale, n.32). Più cresce la sinodalità, più la nostra missione diviene feconda e capace di modellare una umanità secondo il cuore di Cristo.
Il Signore Gesù è «l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (Ap 1,8), Colui che nella croce ha abbracciato tutta la fragilità dell’uomo e che nella risurrezione ricapitola e trasfigura l’universo in maniera nuova. Continuiamo a camminare, pellegrini di speranza, fiduciosi nel suo amore, che mai ci abbandona. Percorriamo le vie del mondo assieme al Verbo che si è fatto carne, con il suo Amore. Viviamo così la dimensione profetica della Chiesa, che non solo annuncia ma anche concorre a costruire, sulla base della sua competenza religiosa e della formazione delle coscienze, un mondo nuovo di fraternità, giustizia sociale e pace, di cura della casa comune (cf Per una Chiesa sinodale n. 121), facendo crescere nelle ombre del tempo il Regno di Dio. Esso giungerà a perfezione con la venuta del Signore (cf Gaudium et spes n. 39).
Mario Toso, vescovo
[1] Cf Benedetto xvi, Lettera all’Ordine dei Camaldolesi, 20 febbraio 2007.