Lunedì 20 gennaio, a mezzogiorno ora di Washington, Donald Trump entrerà in carica come 47simo Presidente degli Stati Uniti: molti interrogativi attraversano l’Europa. Che cosa ci aspetta sull’Ucraina? E sui dazi? E sulle spese Nato? Per l’Europa il ritorno di Trump alla Casa Bianca è anche un’occasione, può essere addirittura la sveglia che ci costringe a guardare in maniera consapevole al nostro futuro. Autocrazie e democrazie sembrano rincorrersi in logiche di pura potenza, con i “Giochi senza frontiere” tra la Groenlandia e il Canada, sul Messico o a Panama: dopo la Russia con l’Ucraina, anche gli Stati Uniti inizieranno le loro “operazioni militari speciali”?

Il rischio è che tutto contribuisca a delegittimare le regole dell’ordine multilaterale che era stato costruito con fatica e a rendere vani gli obiettivi comuni sulla transizione verso nuove tecnologie energetiche. Il rischio è un ritorno del protezionismo, della guerriglia commerciale come via maestra per consentire a ciascun Paese di tornare “Great Again”, grande di nuovo secondo la retorica di Trump. Il rischio è la capacità straordinaria del tecno-sovranismo di minare dall’interno i nostri sistemi democratici.

Insomma, la lista dei pericoli all’orizzonte è decisamente lunga e l’Unione Europea è percepita come fragile, timorosa, silenziosa. Ma il mondo sta cambiando e serve una vera potenza europea. Che si affianchi agli Stati Uniti nella sfida che accomuna le grandi democrazie, ma sia capace anche di capacità autonoma di movimento. Una potenza europea oggi è necessaria per tenere aperti i flussi del commercio internazionale, per dialogare con il Sud del mondo nella riforma del sistema multilaterale, per non arrendersi alla crisi climatica, per evitare di assistere impotenti al confronto tra Cina e Stati Uniti.

La difesa comune europea in questo 2025 potrebbe finalmente prendere corpo. Moneta comune e difesa comune: sarebbe un passo straordinario verso un’Unione più forte. L’alternativa sarebbe l’incremento in ordine sparso delle spese nazionali all’inseguimento di percentuali irraggiungibili per ciascun Paese. Un fondo comune – si è parlato di 500 miliardi – sarebbe un buon esempio per nuove emissioni comuni di eurobond, nel solco delle proposte presentate alla UE da Mario Draghi, nel suo rapporto sul futuro della competitività europea. Francamente, ho svolto il mio servizio militare di malavoglia e penso non sia servito a niente: di quell’anno ricordo solo il volto di qualche amico, ma oggi – come purtroppo ci ricordano i mezzi di informazione ogni giorno – lo scontro politico è anche sul terreno militare.

Un secondo banco di prova saranno le relazioni commerciali. Qui l’Unione europea deve augurarsi il meglio, ossia che i discorsi sui dazi restino uno strumento negoziale e non mettano davvero in discussione il principale flusso del commercio internazionale, quei 1.400 miliardi l’anno di scambio di beni e servizi tra Stati Uniti e Unione europea. La sola Italia viaggia, nel mondo, sui 700 miliardi di euro all’anno sia di import che di export.

Numeri che ci raccontano l’importanza della posta in palio. Un’altra prova decisiva dovrebbe essere sulla regolazione dell’attività delle grandi piattaforme digitali, con l’obbiettivo di evitare che usino i propri dati e algoritmi per interferire nello scenario politico europeo. I Paesi europei sono politicamente troppo fragili e divisi. Nel mondo frammentato e in guerra di oggi occorre che l’Europa si svegli, cogliendo l’occasione della fase che si sta aprendo. La fiducia può venire dal fatto che l’Unione europea proprio in stagioni di crisi riesca a dare dei segnali positivi: ad esempio, stando solo agli ultimi anni, l’acquisto comune di vaccini o l’emissione di eurobond per finanziare la ripresa dal Covid. A Bruxelles servono coraggio, ambizione e leadership politica. A tutti noi, nel tempo che sta arrivando, serve la voglia di essere europei.

Tiziano Conti