Performanti, veloci, solidi e multitasking. È il profilo antropologico richiesto dalla società contemporanea, anche se spesso emergono segnali di affanno e fragilità, che in alcuni casi si avvitano in rovinose situazioni limite. Una criticità che il cinema ha colto molto bene e sta declinando con soluzioni narrative diverse, anche con provocazioni di senso. È il caso di “Joker: Folie à Deux” di Todd Phillips, secondo capitolo dedicato al villain della saga Batman, che è uscito dai territori del fumetto in cerca di un bagno di realismo, diventando un film di denuncia sociale. Presentato in Concorso a Venezia81, il film ci racconta nuovamente del disperato e fragile Arthur Fleck, aspirante comico cui tutti ora guardano e inneggiano con il nome di Joker. L’autore si chiede chi sia davvero Arthur, se sia convinto di abitare la violenza per affermare il proprio sé, oppure se la maschera del clown inizi a pesargli oltremisura. Nelle sale dal 2 ottobre.

L’azzardo vincente di “Joker”

Nel 2019 sembrava un azzardo, quasi una “eresia”, invitare in Concorso alla Mostra del Cinema della Biennale di Venezia un film che prendeva le mosse dal mondo dei fumetti Dc Comics. Invece “Joker” ha spiazzato tutti, critica e pubblico, conquistando il Leone d’oro. L’astuzia del suo autore, Todd Phillips, è stata quella di forzare il perimetro di genere, uscendo dall’action per trasformare il racconto in un film di denuncia: ha usato l’antieroe Joker per puntare il dito contro la società occidentale di oggi, che produce da sola i propri “mostri”, alimentando politiche di austerità e diseguaglianza, dimenticandosi dei più poveri e fragili. Di questo ci parlava il primo “Joker”, conclusosi pericolosamente: la violenza come risposta al male subito, come atto di ribellione alle sventure. A distanza di cinque anni, Warner Bros. ha dato seguito al progetto con il nuovo capitolo “Joker: Folie à Deux”, che porta ancora la firma di Phillips – il copione è scritto con Scott Silver –, un’opera che prosegue sullo stesso tracciato e al contempo si rinnova, inglobando nuove spinte narrative e stilistiche, a cominciare dagli inserti onirici in chiave musical stile Hollywood classica. Accanto a Phoenix la cantante-attrice Lady Gaga.

La storia: Arthur Fleck alla sbarra

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(Copyright_2024-Warner-Bros.-Ent.-All-Rights-Reserved_-Photo-Credit_Scott-Garfield_DC-Comics)

Stato di New York, il noto clown violento Joker, ovvero Arthur Fleck, è agli arresti in una struttura per disagi mentali. Sta per essere processato con l’accusa di omicidio. Indifferente e distaccato, Arthur riscopre entusiasmo per la vita grazie all’incontro con la ribelle Lee, anche lei ricoverata. Tra i due sboccia una passione che irradia l’orizzonte dell’uomo di colori e musiche avvolgenti. Arthur però deve capire se rinunciare o meno alla maschera di Joker, se essere se stesso oppure l’“icona” ribelle che la società acclama contro i poteri forti…

Un film che continua a sorprendere

Il regista Phillips non fa un passo falso. Il suo ritorno sul copione di “Joker” non è un azzardo o un’operazione sottotono, anche se l’accoglienza veneziana non è stata delle migliori. L’autore ha dato prova ancora una volta di voler uscire dallo scontato e dal prevedibile, raccontando sì un personaggio nato sulle strisce del fumetto ma con la matrice del film di impegno civile, portando nuova linfa stilistico narrativa. “Joker: Folie à Deux” rompe i confini di genere: passa dal dramma sociale al thriller, sino al musical anni ’50, per dare voce al tormento interiore del protagonista. I numeri da musical sono le sue proiezioni, tra sogno e allucinazione, sono danze nelle stanze dell’animo che portano colore nel suo mondo grigio, nella struttura per disagi mentali dove è in attesa di giudizio. La musica è liberatoria, perché rappresenta l’evasione e al contempo la scoperta dell’amore.

Approfondendo la parabola esistenziale di Arthur Fleck, si coglie tutto il guadagno di “Joker: Folie à Deux”. Phillips ha continuato a scavare nella dimensione interiore dell’aspirante stand-up comedian, ormai pluriomicida, scandagliandone le stanze della mente. L’autore si chiede quanto Arthur sia disposto a perdersi nel male e nella vendetta. La risposta non è così scontata né granitica come nel primo film. Qui lo vediamo, isolato in un centro di detenzione, deriso e percosso (pesantemente) dalle guardie carcerarie, incedere senza smalto e convinzione. Sembra essersi arreso, nonostante il mondo fuori inneggi al suo nome. A dargli una scossa di adrenalina è l’amore, l’incontro con Lee, apparentemente fragile come lui. E per un momento tutto è perfetto, la vita sembra ritrovare sapore e colore, persino speranza di futuro. E queste vibranti emozioni sono illustrate con riusciti numeri da musical, valorizzando i testi iconici dei brani di Ella Fitzgerald e Frank Sinatra. Ma anche l’amore si rivela un abbaglio, un inganno, se viziato dal male e dalla seduzione della violenza. E il risveglio per Arthur si fa ancora più doloroso.

“Joker: Folie à Deux” non sorprende dunque solo a livello stilistico o attoriale – Joaquin Phoenix e Lady Gaga sono di una bravura imbarazzante, soprattutto Phoenix –, ma anche per la traiettoria narrativa. Arthur Fleck, l’eroe negativo con la maschera di Joker, sembra ora non avere più voglia di perdersi nel male, di lasciarsi andare alla violenza senza ritorno. Phillips ci mostra un antieroe riluttante, che alla fine decide di fare un passo laterale: si sottrae alla vertigine dell’autodistruzione, preferendo essere se stesso e non la maschera del rivoluzionario cui molti inneggiano. Joker non è più lui o, meglio, lui non ha più bisogno di Joker. Facendo questa scelta si disinnesca la miccia problematico-reazionaria del primo film, consegnandoci solo il ritratto di un uomo solo, reo e fragile. Arthur è un ultimo senza speranza né futuro.

Tematicamente “Joker: Folie à Deux” resta comunque sfidante, perché scandaglia la dimensione della disperazione e della fragilità umana, senza mostrare appigli di risalita. Un racconto ombroso e dolente su note musical, virato in tragicità e disillusione. Complesso, problematico, per dibattiti.

Sergio Perugini – AgenSir