I boschi sono la spina dorsale dei nostri territori. Sono fonti rigogliose di acqua e biodiversità. Regolano precipitazioni e temperature. Offrono paesaggi incantevoli. Ma sono anche vulnerabili al cambiamento climatico. Le specie e gli habitat che le montagne ospitano sono in sofferenza, a causa del surriscaldamento globale e dei fenomeni atmosferici sempre più variabili, estremi e imprevedibili. Le montagne riescono con sempre più difficoltà ad adattarsi velocemente e a mantenersi stabili e funzionali nel tempo. Possiamo salvarle. Possiamo invertire la rotta. Possiamo tornare ad abitare questi luoghi. Possiamo riavvicinarci alla natura, integrarci a essa, e gestire le risorse che offrono in modo consapevole e responsabile, cercando di aiutare le montagne e i loro ecosistemi a mantenersi resilienti e continuare a supportare le nostre vite in modo vicendevole, in un legame uomo-natura unico, indivisibile.
L’evento meteoclimatico estremo che abbiamo vissuto pochi giorni fa, qui, nel bacino imbrifero del Marzeno, ha lasciato ancora una volta ferite devastanti soprattutto nei paesi di fondo valle: Modigliana e Marzeno. Le frane non sono ripartite, se non in modo marginale, ma solo perché siamo nel settembre di un’estate, ancora una volta calda, e non, come lo scorso anno, in piena primavera. Purtroppo le piene dell’Acerreta e del Tramazzo e poi del Marzeno del 18 settembre, data infausta se pensiamo che è lo stesso giorno del terremoto di un anno fa, hanno portato distruzione sino in pianura. Oggi restano i danni sulle infrastrutture, nei campi, sulle rive, e anche nei boschi, nelle righe precedenti è stata descritta la loro importanza per la montagna e per l’uomo e soprattutto, a cosa potranno servire: ad aumentare la resilienza di un territorio fragile come il nostro, inteso sia come ambiente naturalizzato che come comunità che lo abita e lo vive.
Siamo in un’epoca definita di “policrisi” e quella climatica è alla base dei deficit ambientali che adesso hanno coinvolto anche le nostre comunità della Valle Acerreta e, in generale, dell’Appennino tosco-romagnolo.
I tempi di “corrivazione” ovvero i minuti che impiega una goccia d’acqua di piogge caduta a Gamogna per raggiungere il fondo valle, si sono ridotti, l’ondata di piena è stata improvvisa
Di fronte a questo occorre prendere consapevolezza e poi una posizione. Per la prima azione è necessario osservare per poter dedurre cosa è accaduto veramente a maggio dello scorso anno: sono franati i boschi che costituiscono, anche in questa valle, la comunità biologica più grande. Ma a chi poteva interessare una serie di frane nelle nostre foreste, dove l’uomo non vive e per le quali gli “interessi” sono così pochi? In questi luoghi le aree che vengono abbandonate portano molto velocemente, se sono “vive”, a irreversibili fenomeni di “morte”, di fine che non prevede in futuro la presenza dell’uomo. I boschi abbandonati, franati, senza fossi, senza una gestione delle acque non hanno retto alla quantità di piogge cadute in così poco tempo. I tempi di “corrivazione” ovvero i minuti che impiega una goccia d’acqua di piogge caduta a Gamogna per raggiungere il fondo valle, si sono ridotti, l’ondata di piena è stata improvvisa, i testimoni oculari che erano sui ponti o lungo le rive dei torrenti delle nostre vallate, hanno visto alzarsi l’acqua in modo velocissimo.
“Dobbiamo invertire lo sguardo e assumere un atteggiamento positivo di attesa del futuro”
Cercando di immaginare una prospettiva a partire da questo presente disastrato, l’immagine che potremo avere è quella di un futuro senza speranza. La rotta si può invertire se ci poniamo in una posizione di speranza, come dice San Paolo (Rm 4,18), proprio nel momento in cui si prospetta un futuro senza alcuna speranza. Dobbiamo invertire lo sguardo e assumere un atteggiamento positivo di attesa del futuro, anche solo questa modalità può cambiare il presente. Quindi non dobbiamo pensare a un futuro solo come una proiezione del presente attuale, questo può già cambiare le cose, se abbiamo la capacità di immaginare insieme le nostre colline come posti migliori dove vivere, dove per tutti possa essere garantito il diritto al futuro e alla speranza.
Ma questo può essere fatto solo attraverso un processo collettivo che parta dal basso che porti le idee. Queste dovranno essere integrate con un lavoro svolto anche dall’alto, dalle Istituzioni che possono aiutare i processi delle idee e costruire un ambiente favorevole, dove le intuizioni possano svilupparsi. Alimentare una visione futura di speranza è compito delle istituzioni che possono non solo fare e dare, ma dovrebbero costruire insieme alle comunità locali dei progetti nuovi su territori anche così profondamente danneggiati come il nostro, dove si può vivere davvero l’ecologia integrale.
Alessandro Liverani