Un cammino che ha unito migliaia di fazzolettoni colorati da Aosta fino a Siracusa. In 18mila capi scout dell’Agesci si sono ritrovati per la Route nazionale, a Verona (22-25 agosto). Quattro giorni di riflessioni, dibattiti, incontri, festa e gioco, nel più classico stile scout, per parlare di felicità, che «rappresenta oggi una scelta politica forte, controcorrente rispetto al negativismo e ai segnali di crisi e sfiducia», e che è nel titolo della Route: Generazioni di felicità. Un evento di snodo dell’associazione, che oggi conta più di 180mila iscritti, tra capi e ragazzi, utile anche a definire le sfide e il percorso associativo futuro, a 50 anni dalla fondazione. Per approfondire il lascito di questo evento, dopo aver ascoltato il faentino Francesco Bentini, abbiamo intervistato don Andrea Turchini, assistente generale dell’Agesci, rettore del seminario regionale, originario di Rimini.

Intervista a don Andrea Turchini: “In questi 50 anni di Agesci, sono state fatte scelte profetiche”

456380513 431412593267669 8739503021957048360 n
Verona, 22-25 agosto 2024; AGESCI, RN24 Route Nazionale delle Comunità Capi; © Gianfranco Scagnetti/RN24/AGESCI

Don Andrea, cosa vi portate nello zaino al rientro dalla Route nazionale?

Quella che abbiamo vissuto è stata un’esperienza straordinaria. Innanzitutto porto a casa migliaia di volti incontrati in questi giorni. Dietro ogni volto incrociato ci sono storie di persone, di generazioni diverse, che hanno accolto l’invito a mettersi in servizio educativo nello scoutismo e si sono messe in gioco partecipando a questa route. Mi ha colpito la presenza di moltissimi capi giovani, un bel segno di speranza per tutti, così come l’impegno messo da tutti i volontari nell’organizzazione, tra tante difficoltà logistiche. I problemi dal punto vista organizzativo sono stati tanti, ma sono stati superati grazie alla generosità di tutti affinché ognuno potesse vivere al meglio la propria route.

Si festeggiavano i 50 anni dalla nascita dell’Agesci (dalla fusione di Asci, maschile, e Agi, femminile), ed è stata l’occasione per fare memoria del percorso fatto in questi anni.

La profezia di questi 50 anni si è declinata in tre direttive importanti. Si tratta di aspetti su cui camminiamo da tempo, ma che è sempre importante confermare insieme. La prima è stata la scelta di puntare sulle Comunità capi delle singole realtà locali, nel segno della corresponsabilità. Nella tradizione precedente all’Agesci non era così. La seconda è la scelta della coeducazione, un metodo pedagogico che mira a valorizzare le differenze tra ragazze e ragazzi, educando alla relazione e al rispetto, facendoli stare insieme. Siamo stati una delle prime realtà educative a puntarci, e la scelta all’epoca non fu fatta a cuor leggero, come ci hanno testimoniato alcuni capi di allora. Si sono fidati di un’intuizione che oggi possiamo dire pienamente vincente. La coeducazione ci invita a fare i conti con la diversità che diventa complementarietà.

Il terzo?

La scelta di essere un’associazione ecclesiale, presa dopo un lungo discernimento. L’Agesci non è semplicemente ispirata ai valori cristiani, ma ha scelto di stare organicamente dentro la Chiesa cattolica. È stata una profezia che ha fatto bene all’Agesci e alla Chiesa, come ha detto il cardinale Zuppi nell’omelia della Messa conclusiva.

Dal passato al futuro. Quali i prossimi passi dell’Agesci?

Quella che abbiamo vissuto a Verona è stata una tappa di un percorso che proseguirà. In route i capi hanno lavorato nelle Botteghe del futuro dove si sono confrontati sulle prossime sfide dell’associazione. Tutto verrà rielaborato nei vari contesti associativi, dalle Comunità capi fino al Consiglio nazionale. I contributi andranno ad arricchire il percorso di verifica delle Sni (Strategie nazionali di intervento) e nella scelta delle Sni del futuro triennio.

“La cosa che più mi affascina del metodo scout? La progressione personale dedicata a ogni singolo ragazzo e ragazza”

IMG20240825102928

La parola chiave di questa route è stata felicità. Come mai?

La felicità deve essere un punto di riferimento per noi educatori e ci riporta al cuore e all’essenziale dell’esperienza umana e cristiana. A volte il rischio che corriamo è assumere un atteggiamento moralista nel nostro servizio, della serie: «questa cosa va fatta perché è giusto». Verissimo, ma l’esperienza ci insegna che se si ha solo una spinta morale questa si esaurisce in tempi brevi, perché poi bisogna fare i conti con la fatica, l’avere perseveranza… Nel cimentarci nel nostro servizio essere felici non è un di più, ma l’essenza. L’esperienza scout e cristiana è un’esperienza di fede che rende felici. È proprio in Gesù che noi troviamo questa proposta in forma completa. Ma attenzione, questo non lo dobbiamo solo dire a parole: lo dobbiamo testimoniare nella quotidianità. L’esperienza di fede rappresenta una sfida complessa per tanti giovani, è qualcosa in controtendenza al mondo di oggi che ha imparato a vivere senza Dio. Ma se viviamo un’esperienza autentica secondo quanto ci indica il Vangelo, offriamo ai giovani qualcosa di prezioso. Possono scoprire che Dio, attraverso Gesù, ha a cuore il nostro bene. L’ha detto bene il Papa nel suo messaggio: essere educatori significa essere testimoni credibili. Se ci limitiamo a dire cose o a insegnare delle regole, non arriviamo ai nostri ragazzi.

A livello educativo, cosa l’ha colpita dello scoutismo?

La cosa che più mi ha affascinato nella proposta scout è la progressione personale che accompagna i giovani da lupetti e coccinelle fino a rover e scolte. Ho trovato geniale questo metodo che tiene il centro sulla singola persona e adatta la proposta educativa.

Il sogno per il futuro?

Che l’Agesci sia sempre più quello che è, la sua identità e originalità. In questi 50 anni, il percorso fatto ci tramanda un’associazione ricca e dinamica, talmente grande forse che ci costringe a fare i conti con la nostra piccolezza, i nostri limiti, le nostre incoerenze da singoli. Non sempre riusciamo a vivere questa ricchezza nella quotidianità o nelle nostre Comunità capi. Il mio sogno è riuscire a superare questi limiti dei singoli e fidarci insieme in una comunione fraterna. L’ha detto anche Zuppi: gettiamo la rete senza timori.