Diamante Torelli da sempre è l’eroina della Faenza più coraggiosa e affrancata, dai nemici esterni come dalla remissività silenziosa. Ma questa vicenda si svolge in un tempo e in un contesto particolare: la Romagna del Rinascimento. Il libro Diamante e i Torelli del professor Davide Bandini, pubblicato dalla casa editrice faentina Tempo al Libro, attraverso documenti inediti fa luce sulla vicenda della donna nel mito, allargandosi alla condizione femminile in una stagione della nostra storia in cui si respira ancora un’autonomia poi totalmente negata. Approfondiamo i temi legati al libro con l’autore Bandini. Insegnante, laureato in Conservazione dei beni culturali e Teologia, appassionato di storia, ha realizzato mostre didattiche con vari enti. Da sempre interessato all’umanità e ai suoi cambiamenti, è anche autore del libro L’impresa di Faenza. La Signoria che fermò Cesare Borgia.

COP TORELLI


Bandini, come nasce questo libro?

A seguito della presentazione del libro sull’assedio del Duca Valentino nel 1501 è emersa la figura di Diamante Torelli tramite gli eredi dei Torelli di Faenza. Perciò la ricerca, partendo dall’emblematica figura di Diamante si è poi estesa a tutta la casata.

Cosa l’ha colpita della figura di Diamante Torelli? Perché è paradigmatica di un’epoca?

Di Diamante mi ha anzitutto colpito il coraggio del gesto eroico e di sfida a un modo di porsi, quello di Cesare Borgia, fatto di potere e paura. Il ruolo delle donne emerge dagli studi storici recenti come molto più sfaccettato e complesso di quanto in passato si credeva. Le donne avevano ruoli e libertà più ampie di quanto abbiamo creduto, in questo senso è il simbolo di una libertà e affermazione che non è qualcosa di nuovo ma è già presente nella nostra storia.

Quali documenti e testimonianze ha messo sotto i riflettori? C’è qualcosa che è emerso di nuovo nella ricerca storica?

I documenti importanti che secondo me andavano indagati erano legati all’economia, alla socialità, al modo di vivere delle città rinascimentali. Le professioni dei membri della casata Torelli mi hanno spinto ad approfondire i legami professionali e pratici che si andavano formando nell’ambito della pittura di cassoni, nella ceramica, nelle realizzazioni conciarie. La novità che mi ha appassionato di più in queste ricerche è proprio il modo con cui si viveva nella città rinascimentale.

Quali sono i miti e i pregiudizi da sfatare sul rinascimento Manfredo?

Anzitutto mi sono in parte dovuto ricredere sui legami familiari, ed è questo elemento che rende quella società davvero differente dalle nostre. I casati avevano concatenazioni in diverse città, addirittura in regioni differenti, per gli studiosi o gli appassionati di storia locale a volte questa necessità di non legarsi solo ai luoghi ma “seguire” gli indizi familiari non è sufficientemente compresa. La stessa signoria dei Manfredi aveva legami familiari e alleanze che, se viste unicamente sotto un profilo politico generale rischiano di fuorviare. Spesso le famiglie, il bene dei casati, le ambizioni e rancori personali giocavano un ruolo che va riscoperto. Un pregiudizio da sfatare, è certamente il ruolo militare dei Manfredi che troppo spesso viene sottaciuto, quando, è bene ricordare che questa signoria fornì i famosi “Brisighelli” a Cesare Borgia e poi a Venezia.

Queste ricerche possono aiutare a valorizzare le rievocazioni storiche legate al Palio del Niballo?

Il Palio a torto è, a oggi, considerato da una parte dei faentini come una lettura romantica e immaginifica. Da anni, tuttavia, i rioni stanno facendo lo sforzo di ricercare, ricostruire e analizzare, con risultati buoni, ma non sufficientemente valorizzati. I Quartieri erano una realtà vera e viva, dagli studi questo emerge, e riportare in vita questa storia non può che aiutare a non perdere il tessuto sociale cittadino. Il libro, tra l’altro, l’ho dedicato proprio ai rioni che hanno dimostrato, durante l’alluvione, una resilienza sociale e di volontariato che andrebbe sottolineata di più.

Dal libro alla città. Quali segni il lettore può ricercare oggi per le strade di Faenza riferiti a quell’epoca e alle vicende che racconti nel libro?

Da faentino, scoprire che molti luoghi erano abitati diversamente, con un diverso ruolo, è davvero appassionante. Il peso dei vari quartieri, delle porte e dei palazzi…. è una scoperta che lascio al lettore. Non ho voluto descrivere tutto, penso che ogni persona possa e debba avere il tempo di immaginare, gustare, sognare diversamente la città di ieri e di oggi perché purtroppo a volte abdichiamo al ruolo di cittadini che vivono pienamente la città.

Un libro può essere considerato anche un punto di partenza. Verso dove verterai il tuo sguardo in futuro?

Ho un paio di progetti che devono vedere altre ricerche archivistiche, uno di questi legato alla scomparsa rocca di Faenza. Comunque mi piacerebbe alzare lo sguardo e non rimanere nella scrittura “locale” intesa come localismo. Mettere in rete, questo mi piace e spero di poterlo continuare a fare anche assieme ad altri studiosi perché la storia è una narrazione che si fa in tanti.

Samuele Marchi