«Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s’alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire un non so che d’altero e d’inquieto; e subito s’abbassava, per riflessione d’umiltà. La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del volto, alle quali un’astinenza, già da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d’espressione. Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli bizzarri». Quando vidi, fresco di studi ginnasiali, padre Guglielmo per la prima volta mi parve l’incarnazione del padre Cristoforo offerto da Manzoni nel IV capitolo de I promessi sposi: quel naso, quegli zigomi, quelle tempie; un ritratto che rivelava subito l’interiorità del personaggio, la figura morale, la tensione etica, l’ardore di un uomo che «al primo avviso» si muoveva «con tanta sollecitudine», che adempiva «sempre con gran voglia, e con gran cura, gli ufizi che gli venivano ordinariamente assegnati»; un cappuccino nel quale coabitavano la «sollecitudine di carità, ch’era in lui come ingenita» e «quell’angustia scrupolosa che spesso tormenta i buoni». E in seguito quell’impressione fu più volte ribadita: la medesima che traspare nell’immagine bronzea del santo cappuccino, opera dello scultore Leonardo Lucchi (2003), che accoglie sul sagrato del convento di Cesena fedeli, devoti e ospiti.
La biografia del cappuccino, al secolo Oscar Gattiani
Oscar (nome di Battesimo) Gattiani nacque l’11 novembre 1914 a Badi (comune di Castel di Casio, Bologna), da Dionisio e Maria Puzzarini. Fu il suo parroco a rilevare in quel fanciullo che spesso entrava in chiesa a pregare i segni di una vocazione, che trovò il suo percorso presso i Cappuccini, presenti a Porretta Terme. Temperamento combattivo, grande bontà di cuore, abbracciò con convinzione e letizia il cammino francescano: “fratino” nel 1924 a Faenza, seminarista nel 1925 a Imola, novizio a Cesena nel 1929, proseguì gli studi a Lugo sotto la direzione sapiente e santa di padre Leonardo da Mercato Saraceno (1930), a Forlì (1932) e a Bologna (1935). Qui fece la professione solenne e il 22 maggio 1938 ricevette l‘ordinazione sacerdotale. Il 15 settembre su un foglietto delineò il rigoroso programma di vita spirituale: «Passione predominante: vinta è vinto tutto. Con tutte le forze continuamente mirare a questo. Medicine: silenzio per la meditazione della Passione del Signore e delle sofferenze di Maria. La coroncina dell’Immacolata, le genuflessioni con grande devozione per consacrare tutto a lei. Continua rigorosissima mortificazione di tutti i sensi interni ed esterni. L’umiltà è la difesa incrollabile di queste virtù»; per concludere: «Ah, Signore! Io non posso sperare di attuare in me le sublimi ascensioni dei santi (come debbo: sono sacerdote cappuccino francescano) se prima non ho: a) vinto la passione dominante; b) purificato la natura corrotta; c) riparato con la contrizione».
La fedeltà alla povertà francescana
Fu sempre e in tutto fedele alla povertà francescana, a partire dall’abito: saio con toppe e zoccoli in legno.
Svolse incarichi educativi a Faenza (1939), Lugo (1940) e Ravenna (1941). Nel 1944 fu assegnato alla fraternità di Cesena con l’incarico di docente del liceo, per divenire maestro dei novizi nel 1946, incarico che esercitò con grande paternità e assoluta mitezza. Nel 1952 si recò con don Carlo Baronio da padre Pio da Pietrelcina, che incontrerà più volte. Iniziò il lungo ministero del sacramento della Confessione e il confessionale divenne il suo pulpito e la sua cattedra: cappuccine di Lagrimone (1969), clarisse di Sant’Agata Feltria (1974) – in seguito quelle di Cesena –, santuario del Santissimo Crocifisso a Faenza (1980), dopo il ritiro (1976) in un «luoghetto» all’eremo del Querceto in diocesi di Parma e un intenso soggiorno in Terra Santa (aprile-ottobre 1980). Il 9 maggio 1986 nella basilica del Monte incontrò, rapito, Giovanni Paolo II.
Consumato nel fisico, dopo aver speso tutte le energie in preghiera, contemplazione, missione, assistenza spirituale a malati e moribondi, aiuto a coloro che lo chiedevano e ovunque fosse stato richiesto (dai più umili ai cosiddetti grandi, come avvenne per i coniugi Raul Gardini e Idina Ferruzzi), morì a Faenza il 15 dicembre 1999, alle 7,15, dopo aver confessato tre persone. Steso sul pavimento (così come trascorreva le notti), prima di lasciare la terra benedisse i confratelli e sussurrò: «È il Getsemani; offro la mia vita per il Papa, per la Chiesa, per tutti; perché il Papa possa arrivare al prossimo millennio».
Il 4 novembre 2006 il vescovo di Cesena-Sarsina Antonio Lanfranchi aprì il processo diocesano per la causa di beatificazione e canonizzazione, che venne chiuso da monsignor Douglas Regattieri il 10 dicembre 2011. Il 23 maggio 2024 papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche di padre Guglielmo: ora si attende il miracolo per la beatificazione. Dal 14 dicembre 2013 le sue spoglie sono custodite e venerate al convento cesenate dei Cappuccini.
Marino Mengozzi
A Faenza dal 1980
Padre Guglielmo arrivò a Faenza il 18 ottobre 1980: al santuario del SS. Crocifisso, l’affluenza aumentò di colpo, come lo si avvicinava, ci si sentiva inondati di pace. Da lui arrivavano persone di qualsiasi estrazione sociale, con in comune ansie, problemi e preoccupazioni, che il padre accoglieva con grande dolcezza. Non pretendeva rapidi cambiamenti, ma era conciliante, senza cedere a compromessi. Con se stesso, invece, era esigente: mangiava pochissimo e ancora meno dormiva, restando in piedi nella cappella per ore, senza sgabelli. La sera accoglieva le telefonate in ginocchio.