Solo quando si torna da un viaggio, dopo qualche giorno, puoi iniziare a comprendere il dono che Dio ti ha fatto. Per ogni pellegrinaggio, molto di più vale per quello in Terra Santa. Ho la grazia di poter andare spesso in quei luoghi di cui sono innamorato, e il rischio dell’abitudine ogni volta è dietro l’angolo. Ma questa volta no. Ho avuto la possibilità, seppur per poche ore, di partecipare al pellegrinaggio di comunione e di pace a Gerusalemme e Betlemme, promosso dal cardinale Zuppi e dalla Arcidiocesi di Bologna.

Pregare e toccare le ferite del conflitto

Sono state ore ricche e dense di grazia. Perché l’obiettivo non era quello di visitare luoghi, ma di pregare e toccare le ferite generate nei cuori e nelle vite delle persone da un conflitto che da troppo tempo segna i giorni di quella terra. È stato come andare a fare visita a un amico malato. Non si può fare altro che portare la vicinanza e l’amicizia con la propria presenza. E di amici, come il francescano tredoziese padre Vittorio Bosello in Terra Santa ne abbiamo tanti. Questa volta a parlare al mio cuore non sono stati soltanto i luoghi e le strade di Gerusalemme, desolatamente vuoti senza pellegrini o turisti, ma gli incontri con le persone.

Le testimonianze dei familiari degli ostaggi a Gaza

A cominciare da Rachel, madre del 23enne Hersch attualmente ostaggio a Gaza. Parole sagge coraggiose che sottovoce scuotono tutti: «Non può esserci competizione tra i dolori. Tutti soffrono. E non voglio che la mia afflizione ne provochi altra. Per questo aggiungo la mia sofferenza ai tanti uccisi nella Striscia». E come non accogliere la testimonianza in videochiamata di padre Gabriel, parroco di Gaza: «I bisogni sono enormi e ogni cosa è complicata, dai feriti alle persone che vogliono andarsene. Nonostante tutto la comunità cristiana sta aiutando 2200 famiglie di qualsiasi religione, mettendo a disposizione un piccolo dispensario e facendo lezione ai 150 bambini che sono rifugiati insieme ai 400 adulti. Ma, ringraziando Dio, la fede è salda!». Questa sofferenza chiede di essere ascoltata e accolta perché come ha ricordato il cardinale Zuppi – non evitando il male bensì capendo il dolore dell’altro e facendolo proprio inizia la pace. «I problemi sono tanti – ci ha ricordato il patriarca di Gerusalemme Pizzaballa – tutti chiedono una parola di vicinanza ed empatia, di sentire parole di accoglienza e di incontro come se dicessero ‘Sappiamo che non potete risolvere i problemi, ma diteci che ci volete bene perché ci sentiamo attaccati da tutti’. Questo è il momento in cui ricordare le tante piccole iniziative di pace e accoglienza che ci sono state nel passato e che oggi sembrano lontanissime». Da qui può nascere quella speranza che nasce da una vicinanza concreta e che vince la paura, anche se la strada è ancora lunga. Tanti amici, sapendo l’amore che ho per quella terra e per chi ci vive, mi chiedono quando ci sarà la pace. Continuo a non poter dare una risposta, ma riesco solo a condividere quella domanda che mi è nata nel cuore e che riecheggia nel mio spirito: che merito ho per essere nato e per vivere in un paese che da oltre 80 anni vive in pace? Essere costruttori di pace ed essere vicini a chi soffre diventa il modo migliore per rispondere a questo grande dono.

Don Tiziano Zoli