Cicatrici ancora aperte, una persona su quattro ancora fuori casa, la paura della pioggia che riporta ai ricordi di quella notte, il timore di essere dimenticati dai propri concittadini. Come stanno le persone colpite dall’alluvione un anno dopo? Per capirlo la Caritas di Faenza-Modigliana ha sottoposto un questionario a quasi 600 persone, con l’obiettivo di fare luce su ferite e conseguenze del disastro. Il 27 maggio scorso, in due incontri pubblici svoltisi nell’aula magna del Seminario di Faenza, la Caritas diocesana ha presentato i dati dell’indagine Alluvione – Come è entrata nella vita di ognuno di noi, sullo stato del nostro territorio. All’incontro hanno partecipato il vescovo, monsignor Mario Toso; il direttore di Caritas Italiana don Marco Pagniello; il direttore della Caritas diocesana don Emanuele Casadio; l’assessore al Welfare del Comune di Faenza, Davide Agresti e Maria Chiara Lama, curatrice del report. L’indagine è stata redatta a partire da un questionario online rivolto alla comunità diocesana nelle scorse settimane. Dalla situazione abitativa a quella sociale, dal contesto lavorativo a quello famigliare sono diversi i temi approfonditi dal questionario, al quale hanno risposto 586 persone (donne 72%, uomini 28%). Hanno partecipato all’indagine persone di tutte le fasce di età, in particolare il 55% appartiene alla fascia di età 46-65 anni. Il report è scaricabile sul sito della Caritas di Faenza-Modigliana (caritasfaenza.it).

I dati: l’emergenza abitativa

casa alluvione faenza

Una comunità che ha ancora bisogno di aiuti materiali, cura e sostegno: è questo il dato principale che emerge dalle risposte. «Una persona su quattro degli intervistati non abita più nella propria casa – spiega Maria Chiara Lama -, e tanti hanno cambiato più sistemazioni provvisorie in dodici mesi, uno su tre ha perso la macchina e c’è chi non è più riuscito a ricomprarla». Per far fronte all’emergenza, l’84% delle persone ha dovuto attingere ai propri rispari. Se si fa riferimento solo a chi abita in quartieri alluvionati, la percentuale arriva a 91%. Il 31% ha subito danni nell’attività lavorativa (sede alluvionata, persi i macchinari, persi i clienti) e dieci persone dichiarano di aver perso il lavoro a causa dell’alluvione.

La paura di una Faenza spaccata in due: “Si teme di essere dimenticati anche dai propri concittadini”

Le ferite dell’alluvione sono però anche quelle più nascoste: una persona su cinque ha ancora oggi problemi a dormire (110). Il 66% dichiara di provare ansia e stress. Di questi il 41% ha sentito bisogno in questi mesi di uno psicoterapeuta e di questi 90 hanno iniziato un percorso specifico. «Sui figli c’è tanta paura del futuro. Il 25% delle persone vede i figli più nervosi e il 15% che sono più legati alla famiglia. Al nervosismo aggiungiamo anche difficoltà a studiare e attacchi di panico. Viene anche segnalato che hanno imparato a donare senza dare nulla in cambio. Per gli anziani invece perdere la casa e i ricordi della propria vita è una ferita molto grande, da cui è faticoso riprendersi. La cosa che mi ha colpito, è che molte persone hanno risposto alle domande aperte, segno che c’è ancora tanto bisogno di raccontarsi, anche nelle proprie zone d’ombra come rabbia e paura». Tra i segni di speranza, l’aiuto spontaneo da parte di persone sconosciute, che ha dato un’iniezione di energia e positività. Di contro, la paura più grande è quella di essere dimenticati non solo dallo Stato, ma anche dai propri concittadini. A un anno di distanza si teme che possa crearsi una spaccatura nella città, tra una Faenza alluvionata e una che non lo è stata, tra una via che va avanti come se niente fosse e un’altra che vede ancora lontano il ritorno alla normalità.

Molto coinvolta e richiamata al suo dovere è l’amministrazione; si esigono personale competente e il coraggio di agire. È richiesta una progettualità di lungo respiro, non azioni per tamponare nell’immediato. La prevenzione viene evidenziata come il miglior investimento. Vengono sottolineati i momenti di unione e condivisione, ma si teme che, a distanza, si crei una spaccatura tra ‘alluvionati’ e ‘ non alluvionati’ e, ancora più nello specifico tra ‘alluvionati di serie A’ e ‘alluvionati di serie B’.

Don Pagniello (Caritas Italiana): «Ripensare la cura del territorio»

don emanuele casadio e don marco pagniello

Durante la giornata, il direttore di Caritas Italiana è stato accompagnato a visitare alcune realtà del territorio diocesano: oltre a Faenza anche Solarolo, duramente colpita dall’alluvione. «Dobbiamo passare dalla gestione dell’emergenza a un rapporto più consapevole con il territorio – commenta don Marco Pagniello -. A un anno dalle alluvioni in Emilia-Romagna, Caritas Italiana sceglie di restare accanto alle comunità provate dall’emergenza. Il 29 maggio 2023, ci siamo recati a Faenza, una delle zone più colpite dagli effetti delle alluvioni. In quella occasione, pur considerando le esigenze contingenti, abbiamo scelto di individuare i bisogni a lungo termine e gli strumenti adatti per farvi fronte. Non si è scelto di costruire solo risposte o interventi immediati, ma soprattutto relazioni di prossimità intense e costanti. Anche grazie alla generosità di tanti, abbiamo contribuito ad avviare percorsi di rinascita, accompagnando le famiglie e le piccole imprese nel loro ritorno all’autonomia».

Monsignor Toso: «Vissuta vera fraternità»

questionariocaritas

«Da scenari drammatici – aggiunge il vescovo monsignor Mario Toso – è emersa la forza della vera fraternità, del dono di sé stessi per gli altri. Abbiamo sperimentato che Dio è sempre all’opera e con il suo Spirito d’amore suscita prodigi di bene che rendono il cammino della ripresa e della ricostruzione meno faticoso, più ricco di speranza. L’aiuto di tante persone generose, di tante Chiese sorelle, di tante istituzioni civili e pubbliche, di volontari, della Protezione civile, delle varie forze dell’ordine, dei Vigili del fuoco, di giovani, di associazioni, di vari Ordini, compreso l’Ordine Teutonico Militare, hanno reso i nostri giorni meno amari, più colmi di prossimità rincuorante». «L’analisi dei dati forniti dai questionari – commenta don Emanuele Casadio – permette alla Caritas di osservare i fenomeni in corso e programmare interventi futuri, ma sempre partendo dall’azione fondamentale di incontro e vicinanza alle persone coinvolte. Per la Caritas, osservare prima di agire è una metodologia ormai consolidata nel tempo, ma che rischia di venire meno durante l’emergenza, perché l’attenzione si focalizza sui bisogni primari a cui rispondere. A un anno dall’alluvione, invece, abbiamo voluto metterci in ascolto della comunità e comprendere meglio quale è il suo attuale stato di salute, grazie a questa indagine».

“A dodici mesi dei tragici eventi di maggio scorso tante sono le cose fatte, e tante ancora le cose da fare – ricorda l’assessore al Welfare Davide Agresti -. Sicuramente abbiamo preso coscienza che ricostruire la nostra città non significhi soltanto ripulire le case dal fango, ma anche prenderci cura delle persone, accompagnare e alleviare le ferite meno visibili. Per farlo ci siamo accorti servire lo sforzo di tutti, come nelle concitate settimane subite successive all’alluvione, anche oggi non dobbiamo perdere lo spirito di collaborazione e sussidiarietà che ha contraddistinto l’operato di tutte le istituzioni: pubbliche, pastorali, associative. Il documento voluto e redatto dalla Caritas è segno concreto di questa volontà di approfondimento e dialogo, strumento così necessario per non sottovalutare ogni aspetto delle conseguenze di ciò che è successo, e stimolo per progettualità future”.