«Il lavoro somministrato? Se usato bene, può essere un ottimo strumento per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani. Come per altre forme di contratto, può però essere usato in maniera impropria da agenzie e aziende, per questo dobbiamo vigilare sui contesti ‘grigi’ e saper accompagnare i giovani nelle loro scelte». A parlare è Fabio Guerrini, segretario Felsa (lavoratori somministrati) Cisl Romagna, con il quale abbiamo approfondito alcuni temi legati al lavoro giovanile nel territorio romagnolo. In primis, la questione del lavoro somministrato, già affrontata sulle pagine del nostro giornale. Si tratta di un rapporto di lavoro in base al quale l’impresa utilizzatrice può richiedere la prestazione di un lavoratore ad agenzie autorizzate (somministratori) iscritte in apposito albo informatico. In questo modo, viene favorito l’incontro tra lavoratori e imprese e c’è modo per entrambi di ‘conoscersi’ senza un impegno contrattuale diretto, ma tramite una realtà terza. «Il problema è l’uso improprio della somministrazione – spiega Guerrini -, quando le aziende la propongono per uno o due anni al lavoratore, finché lo consente il contratto collettivo, e poi lo lasciano a casa e ne assumono un altro. Come sindacati ci siamo seduti al tavolo per rinnovare il contratto di somministrazione e dare più tutele ai lavoratori, ma ad oggi il tavolo è saltato. Si va avanti con la situazione attuale con il decreto “mille proproghe”, ma al momento non c’è una visione chiara del futuro».

Intervista a Fabio Guerrini: “Le agenzie di somministrazione non vanno demonizzate”

Guerrini, perché il lavoro somministrato può offrire buone opportunità?

Oggi le aziende assumono molto con agenzia, perché permette di valutare la persona. Offre vantaggi anche al lavoratore: il somministrato ha la possibilità, dopo un certo periodo, di essere assunto direttamente dall’azienda. A livello contrattuale c’è anche l’opportunità di essere stabilizzato dall’agenzia ed essere, quindi, assunto a tempo indeterminato da quest’ultima. In questo modo, conclusa la missione presso l’azienda utilizzatrice, il lavoratore deve essere ricollocato dall’agenzia in un’altra realtà lavorativa. L’agenzia non trattiene dei soldi al lavoratore e quest’ultimo deve avere gli stessi trattamenti e diritti degli altri dipendenti. Dà poi ai giovani la possibilità di valutare diverse offerte lavorative. Non valuterei quindi il lavoro somministrato come una piaga, ma come un’opportunità che, se usata bene, offre vantaggi a tutti.

Dove nascono i contesti critici?

Negli ultimi anni stanno nascendo a cadenza mensile nuove agenzie di somministrazione da attenzionare, perché spesso non sono preparate, chiudono nel giro di poco tempo e vanno a minare la reputazione delle agenzie sane.

Allargando lo sguardo sui giovani, come vivono la ricerca del lavoro?

La voglia di mettersi in gioco c’è, ma a volte i giovani hanno una visione distorta del mondo del lavoro. In questo i social non hanno aiutato, dando un’idea superficiale del valore dello stipendio e dell’ostentazione della ricchezza: vogliono stipendi alti e subito. Famiglie, sindacati e tutto il settore devono aiutare e accompagnare i giovani nel mondo del lavoro, non dando per scontati certi passaggi. Dall’altra parte c’è sfiducia per un fenomeno opposto: quando non vengono retribuiti correttamente. Magari lavorano tante ore, ma, ancora più che in passato, cercano una conciliazione vita-lavoro adeguata e si chiedono se ne valga la pena. Per questo poi cercano altro. Una volta c’era la mentalità del posto fisso, mentre oggi dopo la scuola, puntano ad accumulare esperienze, a evolversi con il mondo che cambia con loro. Per questo è importante indirizzarli lungo la direzione giusta.

Qual è la criticità maggiore dell’occupazione giovanile?

Le aziende cercano sempre più persone qualificate. Per questo i giovani faticano, non avendo esperienza. L’ideale sarebbe che un’azienda assumesse un giovane per formarlo, ma spesso questo non avviene perché ha un costo che tante aziende non vogliono sostenere. Essendoci tanta concorrenza, il rischio è che il giovane, una volta formato, possa andare via. Al netto di questo, ci sono tante realtà virtuose sul nostro territorio.

La pandemia come ha influito nella ricerca del lavoro?

Ha aiutato in certi ambiti, penso allo smart working, ma ha fatto fare passi indietro in altri, in ambito di welfare aziendale, perché le perdite di fatturato hanno portato alcune aziende a ridurre i servizi. La guerra in Ucraina ha creato ulteriori difficoltà per le aziende metalmeccaniche, o a quelle legate all’attività portuale. Di questo ha risentito anche il lavoro giovanile.

Parlare di giovani e futuro ci porta ad approfondire anche il tema dell’IA e il suo impatto sul mondo del lavoro.

Come in tutti i cambiamenti, ci si muove tra rischi e opportunità. C’è la preoccupazione di perdere posti di lavoro, ma al tempo stesso c’è la possibilità che dall’IA possano nascere nuove occupazioni, se sfruttata al meglio. Questo è possibile se si mette al centro la persona e il capitale umano. Se invece l’IA viene vista dalle aziende come un modo per risparmiare e fare tagli sul personale, allora si rivela un’arma a doppio taglio. Per quanto una macchina possa essere performante, è l’uomo la componente essenziale.

Samuele Marchi