Una comunità di famiglie (l’unica in Israele) metà ebree e metà palestinesi, tutte di cittadinanza israeliana, che hanno scelto di abitare e far studiare i propri figli insieme. È questa l’esperienza del villaggio Neve Shalom Wahat al-Salam (“oasi della pace” nelle lingue ebraica e araba), a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv, che da più di 50 anni ha dato vita a un modello concreto di comunità di dialogo e di pace. Il villaggio, che oggi ospita circa 300 persone, fu fondato all’inizio degli anni ’70 dal domenicano Bruno Hussar e abitato da israeliani e arabi palestinesi di religione ebraica, cristiana e musulmana. Qui è nata la prima scuola primaria bilingue e binazionale d’Israele, e dal 1979 la Scuola per la pace, che organizza corsi e momenti di educazione alla gestione del conflitto per giovani e adulti, ebrei e palestinesi.

Il 5 aprile l’incontro a Faenza alla parrocchia dei Cappuccini

Per conoscere meglio questa realtà, viene proposto venerdì 5 aprile alle 20,45 a Faenza l’incontro Costruire la pace in tempo di guerra, nei locali della parrocchia del Crocifisso (via Canal Grande 57), nell’ambito della festa della parrocchia e del convento dei frati cappuccini. A presentare l’esperienza del villaggio a mezz’ora da Gerusalemme sarà Maria Angela Fantozzi, dell’associazione italiana Amici di Neve Shalom-Wahat al-Salaam. L’associazione si occupa di far conoscere in Italia l’esperienza di pace del villaggio e sostiene le sue attività, tramite incontri e campagne di solidarietà.

Giustizia e parità sociale: le basi di una convivenza difficile

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«Anche oggi, nel dibattito italiano su quello che sta accadendo in Terra Santa viene molto più facile schierarsi da una parte o dall’altra, anziché sostenere chi cerca di costruire la pace attraverso progetti concreti che mettano in dialogo – commenta Fantozzi, che fin dagli anni ’80 ha compiuto viaggi in Israele, Palestina e Gaza -. Per questo raccontare e preservare esperienze come il villaggio Neve Shalom Wahat al-Salam è importante e getta una luce di speranza sul presente e sul futuro delle nuove generazioni». Il villaggio vuole perseguire la pace attraverso la giustizia e la parità sociale, che non è scontata tra palestinesi ed ebrei, anche a livello di diritti individuali. «Non dobbiamo pensare a questo come un progetto astratto e utopico – precisa Fantozzi -. Il villaggio è come un piccolo Comune, e come tale ha tutta una serie di bisogni concreti e quotidiani da portare avanti per sopravvivere. È una comunità che ogni giorno si deve mettere in gioco per mantenere i suoi equilibri, e che spesso ha visto minacciata la sua esistenza. Gli aiuti esterni sono fondamentali».

La pace che nasce sui banchi di scuola

Si lavora assieme, palestinesi ed ebrei, con gli stessi diritti e doveri. Se in altri contesti si trovano a percorrere vite e culture distinte, separati anche fisicamente da muri, e si genera diffidenza, qui stanno fianco a fianco , si danno del ‘tu’ e operano assieme per il bene comune. «Molti palestinesi hanno contatti con ebrei solo nella loro veste di soldati o polizia – commenta – ed è naturale che non si favorisca il dialogo». La base è la scuola, bilingue e binazionale, che permette a palestinesi ed ebrei di conoscersi e relazionarsi tra loro fin da piccoli, in aula. Il compagno di classe ha, fin dal primo giorno, un volto, un nome e una storia. Etichette sulla propria nazionalità o religione vengono lasciate da parte, si costruisce una comunità insieme a partire dal gioco e dal confronto. «Per ogni classe ci sono due insegnanti – spiega Fantozzi –. Uno che parla arabo e l’altro ebraico. I bambini diventano fin da subito bilingui e si approcciano all’altra cultura senza i pregiudizi tipici dell’età adulta». Al momento la scuola copre tre ordini di istruzione fino alla primaria, ed è frequentata da 196 alunni, in gran parte arrivano da 21 villaggi in un raggio di circa 25 chilometri. «Ci sono famiglie, anche esterne al villaggio, che scelgono di iscrivere i propri figli qui».

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La tenda del lutto

Grazie ai supporti esterni, dall’inizio del conflitto in Terra Santa, nella scuola del villaggio sono stati avviati progetti di supporto psicologico a mamme e bambini. Inoltre è stata realizzata una “tenda del lutto”, dove ognuno può esprimere le proprie emozioni e paure. «Questo villaggio non è un paradiso terreste – conclude Fantozzi -. La convivenza è complicata. Ma anziché rifugiarsi nel conflitto, qui si cercano ogni giorno alternative fatte di dialogo e di pace. Si tratta di una comunità che hai scelto, nonostante tutto, perché pensi che la pace sia un valore superiore rispetto a ciò che ci divide».

Samuele Marchi