Se uno va in giro per la Romagna e chiede dei tortelli se ne vede offrire di più fatta, che cambiano da qui a lì sia per la forma che per la sostanza. Premesso che alla base di un tortello c’è sempre la sfoglia con un ripieno, le differenze che si notano da una località all’altra sono veramente molte e non solo par la spója, ma soprattutto par e’ cumpéns ch’u si po’ mètar inde˜tar (formaggio, ricotta, varie erbe, zucca, patate, castagne) che dipende dall’uso che se ne vuole poi fare. Ci sono infatti dei tortelli che vengono mangiati come primo, altri come dolce. La forma di quelli ch’i s’mâgna coma mnestra cambia da posto a posto; c’è chi li fa quadrati, a rettangolo, triangolari, a mezza luna. Anche il nome a volte subisce delle variazioni con alterazioni accrescitive (tortelloni), diminutive (tortellini), dispregiative (tortellacci) oppure e’ câmbia ‘d posta, come succede nel faentino dove vengono chiamati urciõ (orecchioni).
Per noi faentini, infatti, la parola turtèl sta ad indicare quelli che si mangiano come dolce, bagnati nella saba. La nostra città, famosa da sempre in tutto il mondo per le sue ceramiche, lo sta diventando anche per questo suo tipico tortello tradizionale (con il battuto di castagne, molto altro e chiuso a treccia), di cui ha l’esclusiva. Faenza per questo può essere considerata, e a ragione, la capitale di turtèl e questo fin dai tempi antichi.
A Faenza nello scorrere delle stagioni, da est a ovest e da nord a sud, di turtèl se ne mangiavano e se ne mangiano ancora delle sbarozzate. Si cominciava la quarta domenica di Quaresima (Ut, Gut, Tanane˜, Paradis, Lazare˜, Pêlma bandèta e Pascva fiurida) nella zona di porta Imolese e la via Emilia verso Bologna, per continuare la domenica dopo in Borgo e lungo la via Emilia verso Forlì; si proseguiva il giorno di Pasqua e la domenica in albis dai Cappuccini a Porta Montanara fino oltre la Cartiera. Dopo una lunga sosta, l’8 dicembre, festa dell’Immacolata, i turtèl ricomparivano anche a Pörta Ramiâna e nella zona del cavalcavia. La tradizione di turtèl bagne int la saba continua tuttora nei quattro cantoni della nostra città. Si possono acquistare nei forni, nelle pasticcerie, nei supermercati, ma ci sono ancora anche tante delle nostre azdôre, fra queste anche la mia, che li fanno in casa seguendo antiche ricette tramandate da una generazione all’altra. Nel pomeriggio del Giovedì Santo sono andato a casa dei Dalmonte di Errano (lì fra e’ Palaze˜ e la Cartiera), dove le due cognate, la Lina e l’Umiliana, erano super impegnate a fare dei tortelli.
Mi avevano invitato e vuoi mo te che ce la dessi buca? E’ sareb stê un sghêrb! Ciô, burdèl, a v’ho da dì che mi pareva di essere capitato int ‘na fabrica ‘d turtèl: una specie di catena di montaggio formata da una bella squadra di giovani parenti (maschi e femmine), impegnati fin dalla mattina nelle varie fasi di confezionamento e cottura di una trentina di chili di tortelli sotto un’attenta direzione lavori dal do azdôri. Ohi, badate bene, ognuna ha le proprie competenze: quelle dell’Umiliana vanno da e’ spass alla chiusura a treccia dei tortelli, alla Lina invece va la responsabilità di cuocerli a puntino nel forno a legna acceso fin dalla mattina presto. Fê tót chi turtèl la zöbia sânta per loro è diventato quasi un rito che si ripete tutti gli anni. È una tradizione che l’Umiliana si è portata dietro da casa dei suoi, i Dalle Fabbriche (qui dal Tómb) e la Lina l’ha fatta sua volentieri.
Anche la ricetta, abbastanza simile ad altre del faentino (castagne, marmellate di pere, prugne, arancia, cotogne, cioccolato, cacao, cedro candito, zucchero a velo, alchermes, amaretto, messi tutti a occhio) viene da Ca dal Tómb dove il giorno di Pasqua si faceva di parenti. È la ricetta della zia Rosina che, prima di sposare Pietro (Pirôcia) Perfetti e di trasferirsi a Santa Maria in Castello di Tredozio nella canonica del cognato don Domenico, teneva in riga la famiglia di ben diciannove Dalle Fabbriche. L’Umiliana, me l’ha detto lei, l’ha imparata insieme alla chiusura a treccia grazie ai tozzoni che la zia, piuttosto sbrigativa, distribuiva con facilità a chi non era svelto a prender su quel che diceva.
I tempi sono cambiati e con loro anche i metodi di insegnamento. Dei tozzoni non ne volano più e i giovani apprendisti dell’Umiliana e Lina tortelli S.p.A., lavorano in serenità e con passione facendo propria l’arte delle due azdôre Dalmonte. Verso sera, dopo decine e decine di infornate che hanno riempito l’aria di profumi, i cesti di vimini di Gaspare Dalmonte erano pieni di turtèl prônt da bagnê int la saba, fatta in casa anche quella dalla Lina. La garanzia della loro bontà ve la posso dare mè sottoscritto che, dopo aver fatto diversi assaggi lì sul luogo, a m’so aviê cun e’ scartòz!
Mario Gurioli