Se per molti si tratta di un “gioco”, per tante aziende e settori sta diventando un supporto essenziale per fornire servizi migliori ai clienti o, come nel caso di mio interesse, ai pazienti. Perché, infatti, uno dei maggiori ambiti di sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA) è quello sanitario. Qui l’IA può realmente impattare sulla salute delle persone. L’IA può, ad esempio, essere applicata a diverse discipline mediche allo scopo di predire risposte terapeutiche, può identificare lesioni tumorali in stadi precoci e impercettibili per l’uomo, fino ad analizzare grandissime quantità di dati fornendo diagnosi precise e nuove opportunità di ricerca e innovazione. Una rivoluzione che ritengo nei prossimi anni porterà grande benessere in medicina.

Un potere rivoluzionario

Nonostante questo, e sebbene il potere rivoluzionario di questa tecnologia sia quotidianamente riportato da testate e media digitali, molti ancora stentano a credere in questa innovazione. I dati non sono molti, ma in un recente sondaggio promosso da Tebra su 1.000 pazienti statunitensi, emerge come il 53 per cento degli intervistati ritiene che l’IA non possa sostituire un medico, il 43 per cento preferisce l’interazione e il contatto umano così come il 47 per cento è convinto che diagnosi e terapia definite con algoritmi possano creare errori sul percorso di guarigione. Perché questo paradosso? Perché se in sanità viene ampiamente riportato il successo e il potenziale dell’IA i pazienti non sono convinti? Credo che ci siano alcuni aspetti che chi si occupa di comunicazione medica deve considerare. Innanzitutto, presentare questa innovazione in una logica puramente performativa non interessa al paziente. In questa società, dove la legge estetica prevale, crediamo che raccontare la sola bellezza sia efficace. I dati dimostrano il contrario. Tutte le prove di successo che forniamo ai cittadini devono portare alla costruzione di una verità e non del mero valore estetico di questa rivoluzione. Perché se di rivoluzione si tratta, la verità è che non siamo davanti a un semplice artefatto tecnologico, ma a un elemento che sta cambiando il mondo.

In secondo luogo c’è il tema di come è percepita l’IA sulla base di quella che è l’identità sociale. Anche qui i dati ci aiutano a capire come poter agire. Alcuni ricercatori hanno analizzato come valori fondamentali, valori sociali e condizione di vita influenzano positivamente o meno la percezione sull’IA. I risultati sono particolarmente interessanti: chi ha un forte senso religioso e chi crede nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani ha una percezione negativa dell’IA. Diversamente chi promuove diritti per le minoranze, chi è ricettivo ai cambiamenti culturali, chi è altruista o ha un alto livello di educazione vede positivamente l’implementazione dell’IA.

Non è un semplice software

Di fronte a questa complessità e alla rapidità con cui l’IA sta entrando nella nostra vita, cosa fare? Innanzitutto capire che siamo davanti a qualcosa di più grande di un semplice software che ci aiuta in un compito preciso. Poi dobbiamo comprendere che questa nuova realtà è già una realtà e non si tratta di ostacolare o convincere in una battaglia fra sostenitori o contrari. No, invece dobbiamo accompagnare l’innovazione quale elemento trasformativo della società perché la richiesta smetta di essere la soddisfazione di un bisogno acuto, quanto invece il cambiamento delle nostre vite e del futuro delle prossime generazioni.

Francesco Ghini