Aleksej Naval’nyj era rientrato in Russia nel 2021 sapendo che il suo destino era segnato. Era stato avvelenato in quel paese con la sostanza letale Novichok e gli era stato concesso il permesso di curarsi in Germania, dove sarebbe potuto restare con la sua famiglia. Ma Naval’nyj non voleva vivere in esilio; tanto meno diventare una pedina dello scontro tra Putin e Angela Merkel: voleva combattere e, se necessario, morire in patria. Così è tornato a Mosca, dove sapeva che l’avrebbero atteso le manette e la cella per chissà quanto tempo, dimostrando un coraggio anche fisico d’altre epoche, degno di un eroe del Risorgimento. Il suo arresto, la persecuzione dei suoi collaboratori, tutti in esilio o in galera, la brutale repressione dei manifestanti scesi in piazza a sua difesa, non hanno suscitato nell’opinione pubblica globale l’emozione che meriterebbero. L’ha ottenuta col sacrifico supremo della sua vita, andando incontro al finale di cui era perfettamente consapevole. Ha vissuto ed è morto da eroe. Ha messo in campo il suo corpo, perché voleva vivere e combattere nel suo paese.

Certo, Naval’nyj non era un liberale, tanto meno un uomo di sinistra: era un nazionalista russo, convertito al cristianesimo in età adulta, come da lui stesso scritto a Pasqua del 2014. Era un uomo che voleva il bene del suo Paese, per cui ha messo in gioco il suo patrimonio, i suoi cari, la sua stessa vita. Da eroe ha vissuto, da eroe è morto. In tanti dicono di essere pronti a morire per la patria, e fin qui è retorica. Ma quando si muore davvero, nelle carceri siberiane, non è retorica: è carne e sangue.

Aleksej Naval’nyj rimane oggi, fuori dalla Russia, il più famoso oppositore politico ad aver pubblicamente e duramente preso posizione contro Putin. Quando ancora era libero si era occupato di inchieste di corruzione, che lo avevano reso a dir poco sgradito a molti funzionari e politici, di cui aveva svelato molti aspetti della loro attività criminale. Di solito le dittature cadono quando perdono le guerre. Sconfiggere la Russia sarà molto difficile, probabilmente impossibile. Un negoziato andrà aperto, un compromesso andrà trovato. Ma non si può chiudere questa guerra senza trovare una soluzione duratura che garantisca la sicurezza delle frontiere orientali dell’Europa.

C’è un modo per dare valore al suo sacrificio: ed è capire che la Russia è tornata quella delle purghe di Stalin, degli anni precedenti alla Seconda Guerra mondiale e, se tanti paesi prenderanno questa strada, se le potenze mondiali scivoleranno lentamente nel nazionalismo esasperato, non ci sarà prospettiva per nessuno. Il nostro compito dovrà essere quello di fare in modo che il sacrificio di Naval’nyj possa portare frutti di libertà e prospettive dignitose al futuro: per noi, per il suo popolo e per il mondo.

Tiziano Conti

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Di Евгений Фельдман / Новая газета

Di Олег Козырев