La tragedia di via Dradi a Ravenna, che ha portato alla morte di Wendy, bambina di sei anni, e agli arresti, per omicidio pluriaggravato, della madre Giulia Lavatura, ha colpito tutta la comunità ravennate e posto molte domande su un male silenzioso, quello del disturbo mentale. La donna soffriva di un disturbo bipolare ed era in cura da anni al Centro di Salute Mentale (Csm) di Ravenna. In occasione del funerale della piccola Wendy, la famiglia ha invitato tutti coloro che volessero essere partecipi al loro dolore a fare una donazione all’associazione ‘Porte aperte della Romagna’ o a un’altra realtà di supporto a chi soffre di malattie psichiatriche. Primarosa Melandri è la vicepresidente di Porte aperte, associazione nata nel 1995 cui aderiscono familiari di persone con disturbo psichico, in prevalenza genitori, ma possono farne parte gli stessi utenti.

Intervista a Primarosa Melandri, vicepresidente di “Porte aperte della Romagna”

Immagino che, come associazione, la tragedia di via Dradi vi abbia colpito, dal punto di vista umano.

Una situazione drammatica, che fa davvero male al cuore. Alcune persone nascono con delle fragilità che si sviluppano di fronte alle difficoltà della vita. Come ha detto un parente della donna, anche io voglio ribadire che il disturbo mentale non è una colpa né una scelta.

Voi, che idea vi siete fatti?

È il caso di partire con una premessa. Per una persona con disturbi mentali è fondamentale riuscire a creare un rapporto con chi la cura. È il medico che ascoltando il paziente deve capirne i bisogni. Serve quindi un ascolto, anche emotivo, della sofferenza del paziente, perché solo così si riesce a comprendere il nucleo della malattia mentale. Ma per creare questo rapporto serve tempo e pazienza, e purtroppo ritengo che gli attuali metodi di cura abbiano delle criticità.

Come è cambiato il servizio in questi anni?

Negli ultimi anni, i casi di disagio psichico hanno avuto un forte aumento, anche in seguito alla pandemia. Purtroppo, la sensazione che hanno i nostri associati è che i Servizi non riescano a gestire in maniera sufficientemente adeguata questo ulteriore carico di lavoro. Ad esempio al Csm, il personale infermieristico e medico è inferiore alle necessità e vi è un continuo turn over, quindi per il paziente è difficile riuscire a instaurare un rapporto duraturo, un legame di fiducia. Se manca l’operatore di riferimento il paziente si sente perso. Purtroppo scrivere ricette e prescrivere farmaci è più veloce che ascoltare. Le persone vanno ascoltate per poterle curare nel modo corretto. L’ascolto e l’empatia sono il primo rapporto che si crea tra paziente, medico e infermieri. Oggi i tempi dei medici sono molto veloci e il dialogo è limitato a pochi minuti, quindi si lavora solo sui sintomi. Il farmaco aiuta a ridurre il sintomo, ma non cura realmente e può produrre effetti collaterali, tipo diabete o l’aumento di peso corporeo. Per questo motivo, serve un’equipe formata da specialisti con competenze diverse, per poter prendere in carico il paziente. Ritengo che la figura dello psichiatra sia importante, ma per il malato è fondamentale la presenza di operatori che siano un riferimento stabile.

WENDY

“Serve un sistema che ascolti il disagio delle persone, soprattutto quando saltano visite e controlli”

Come familiari di persone con disturbo psichico, siete soddisfatti dei Servizi?

Il Dipartimento ha tre punti operativi. Oltre all’ospedale psichiatrico, dove le persone vengono ricoverate, c’è il Centro diurno dove si svolgono attività riabilitative e i pazienti, in numero ridotto, hanno operatori molto disponibili che li seguono con cura. Per quanto riguarda il Csm, invece, spesso si ha la sensazione che le equipe siano sotto dimensionate e le risorse finanziare disponibili non adeguate. Inoltre, grazie a una convenzione tra cooperativa San Vitale e Ausl Romagna, persone con disturbo psichico prendono parte ad alcune attività dove, grazie a personale molto formato e in grado di stimolare le capacità residue dell’utente, possono svolgere attività lavorative a contatto con altre persone. Come famiglie di persone con disturbi mentali riteniamo che serva una maggiore collaborazione tra Csm, psichiatra, specialisti, medico di base e familiari. Serve un sistema più aperto che ascolti il disagio delle persone e un Servizio in grado di stare veramente vicino agli utenti, soprattutto a quei pazienti che, in certi periodi, proprio a causa del disturbo di cui soffrono, saltano le visite o evitano di controlli. È proprio allora che hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro, e le famiglie da sole non possono farcela.

Sara Petracci