Un click per avventurarsi in mondi lontani, divertirsi e risolvere enigmi. Dietro a un videogioco c’è un mondo complesso fatto di creativi, designer e programmatori che lavorano insieme per offrire esperienze significative. Redamant Games è un team di giovani che sta avviando il proprio progetto imprenditoriale al Contamination lab di Faenza. Mirano a costituire una società che sviluppa videogiochi e produrre il primo progetto indipendente Shelf, un gioco di ruolo che vede un giovane protagonista avventurarsi in una biblioteca da cui deve cercare di uscire, affrontando vari generi letterari. Il team è composto da sette giovani del nostro territorio (Russi, Alfonsine…) ma anche fuori regione. Per approfondire questa realtà abbiamo intervistato una di loro, Francesca Cioffi.
Giovani designer, creativi e programmatori che lavorano insieme in un progetto comune. Intervista a Francesca Cioffi
Francesca, come ti sei avvicinata al settore dei videogiochi?
Ho sempre avuto interesse per le arti visive e, dopo gli studi classici e l’università, ho fatto un master specifico in Game art. Quello che mi affascina di questo media è la sua capacità di interazione con gli utenti, e la possibilità, a partire da questa, di raccontare storie.
Questa passione può trasformarsi in un progetto imprenditoriale?
Quello del videogioco è un mercato in grande espansione, anche se l’Italia, a livello di produzione, è ancora indietro. Il nostro obiettivo è sviluppare una realtà grazie alla quale non si sia costretti a espatriare per lavorare in questo ambito. Le possibilità ci sono: basti pensare che, nel mondo, il settore dei videogiochi genera più fatturato del mercato della musica e del cinema messi assieme. E durante la pandemia, a differenza di altri mercati, ha continuato a crescere. C’è tanto margine, anche se è un settore che sta cominciando a saturarsi e c’è molta differenza di approccio tra le proposte delle grande major e le case di produzione più piccole. Persino i target sono differenti: i giochi delle major puntano a prodotti, in un certo senso, rapidi e frenetici, legati al multiplayer. Invece i nostri sono più riflessivi, narrativi e personali.
Il mercato c’è: dunque avete deciso di partire.
Siamo nati nel giugno 2020. Siamo sette professionisti e alcuni collaboratori esterni che si occupano di vari ambiti: chi di concept e arte visiva, chi di sviluppare la programmazione e il codice del videogioco, chi di design e storytelling. In più c’è tutta la parte di comunicazione e di gestione del rapporto col pubblico. Per sviluppare il nostro progetto imprenditoriale siamo entrati nel Contamination lab di Faenza nel marzo del 2023. Qui abbiamo potuto accelerare le tappe per sviluppare il progetto. Siamo riusciti a definire meglio il business plan, a confermare alcune certezze e smentirne altre. Ci ha poi fornito tanti contatti con realtà del territorio e altri creativi che erano ospitati nel pre-incubatore. E abbiamo capito l’importanza di comunicare bene all’esterno il valore delle nostre produzioni.
“Come tutti i media, anche nei videogiochi si può scegliere tra prodotti di qualità e prodotti fine a se stessi. Non si deve per forza contrapporli al giocare all’aperto”
In generale, i videogiochi sono spesso associati a contesti negativi. Sia per i contenuti in sé sia perché contrapposti, in maniera superficiale, al ‘sano giocare all’aperto di una volta’. È una visione banale?
Come in tutti i media, possono esserci contenuti molto diversi tra loro. Prendi un libro: sei tu a scegliere se leggere un romanzo di qualità o meno. Poi penso che l’esperienza dei videogiochi ti possa aiutare a vedere il mondo da un altro punto di vista, sviluppare competenze trasversali e scoprire qualcosa di più su di te. E, se quello che hai vissuto è di qualità, non rimane confinato a quell’ora che giochi di fronte a uno schermo, ma te la porti dietro nella vita di tutti i giorni. Poi ovvio: ogni cosa deve essere gestita con equilibrio. Non si deve per forza contrapporre il giocare con i videogiochi al giocare all’aperto, ogni attività deve avere i suoi spazi senza esagerare.
Che impatto sta avendo l’AI sul vostro settore?
Ci pone delle riflessioni. Il grande tema dell’intelligenza artificiale è che al momento non è regolamentata, ed è stata nutrita con opere di artisti senza il loro consenso. Quindi è una grande violazione di copyright, che porta però le case più grandi a scegliere di risparmiare soldi affidandosi a essa e non alle persone. Noi abbiamo una visione diversa, e puntiamo sempre sulle persone.
“La cosa più difficile del nostro lavoro? Dare un’anima al progetto”
Qual è la cosa più difficile nel vostro lavoro?
Dare un’anima al progetto: riuscire a proporre un videogioco con il quale le persone possa no sentirsi in connessione. Questo deve partire, per esempio, dall’avere una linea grafica distintiva e da una proposta che non sia superficiale.
Quali i prossimi step che via aspettano?
Tra poco lanceremo la prima demo del videogioco, e tramite la piattaforma Kickstarter promuoveremo una raccolta fondi per sostenere il progetto e avviare diversi capitoli autoconclusivi: partire da un autentico rapporto col pubblico che crede in quello che fai è fondamentale. Shelf ha per protagonista un bambino con gli occhioloni che si trova all’interno della biblioteca e rimane in un certo senso intrappolato lì. Lo scopo del gioco è riuscire a farlo uscire, affrontando avventure tematiche attraverso vari generi letterari.
Ricorda un po’ la trama del film Pagemaster.
In parte sì. Da questa prima narrazione di base, se ne sviluppano però altre che affrontano, nel corso del videogioco, tematiche più mature: per esempio quelle dei disturbi alimentari e delle solitudini. Il videogioco infatti non è pensato per bambini, ma per una fascia d’età che va dagli adolescenti in su.
Samuele Marchi