La Comunità di Sasso a Popolano di Marradi ha appena compiuto 43 anni. Una lunga storia di relazioni, di passione, di dolori e di speranze condivise. Ma è sempre la speranza che continua a guidare da allora e ancora oggi il cammino di coloro che bussano alla porta: giovani, meno giovani, disperati, desiderosi di condividere un cammino, tutti alla ricerca di un senso da dare alla loro vita e di un po’ di pace. Anche perché i primi passi sono stati scritti da giovani ragazzi che vedevano nella esperienza comunitaria, l’opportunità di una ricerca fatta di condivisione e autenticità. L’accoglienza del primo ragazzo tossicodipendente è stata, quindi, la naturale risposta a questo cammino. Per approfondire questa realtà, abbiamo intervistato alcuni degli operatori che ogni giorno, assieme a don Nilo Nannini, si spendono in questo servizio.

Intervista agli operatori della Comunità di Sasso: l’accoglienza dei giovani che vivono sulla propria pelle il dramma della tossicodipendenza

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Il casolare della comunità dei Sasso nei primi anni.

Che cosa ha rappresentato la Comunità di Sasso per tanti giovani del nostro territorio?

Accoglienza dei più affaticati, incompresi e giudicati aldilà del loro patire. Ragazzi e ragazze che vivevano il dramma di una dipendenza, allora principalmente eroinomani, così lacerante che li portava. In una solitudine aberrante, a vivere davvero nella strada, spesso abbandonati dalle famiglie che seguivano ideologie di pensiero secondo le quali per essere salvati, i figli, dovevano essere abbandonati a sé stessi. In quegli anni l’esperienza di Sasso è stata davvero, per il bacino di Faenza-Lugo-Bagnacavallo, una piccola luce nel buio totale di tanti che attraverso il Ctst (oggi SerD) locali arrivavano in Comunità almeno per riprendere fiato. La possibilità di riscattare scelte sbagliate, di recuperare relazioni perdute, di asciugare le lacrime amare di chi, a casa, invece viveva dolore e rabbia silenziosi, aspettando e sperando in un recupero vitale. Gli anni sono passati, ma il dolore di chi bussa alla Comunità e la speranza che condividiamo con loro è la stessa di ieri. Cambiano i volti, le storie, le provenienze, anche le sostanze, ma il dinamismo autodistruttivo dei ragazzi rimane lo stesso; forse ancora più profondo perché privo di esperienze affettive vere e fedeli. Per loro però Sasso diventa quel porto sicuro in cui trovare casa, piantare radici e vivere un presente dove sperimentare la fedeltà di un’appartenenza, in cui scoprire il fascino dell’umano, terreno fertile dove possa fiorire il loro domani.

sasso macelleria agricomes

Come avete visto cambiare i giovani e le tossicodipendenze in questi 40 anni?

Il mondo è in continuo cambiamento e i giovani sono il riflesso più discusso di questo cambiamento. I giovani tossicodipendenti ne sono, quindi, l’espressione più estrema o forse il frutto più malato di una società malata. Rileggendo l’evoluzione della Comunità nel profilo di questi cambiamenti sarebbe superficiale e pericoloso affermare, anche con qualche nostalgia, che “Non ci sono più i tossici di una volta”. La Comunità, infatti, deve essere capace di accogliere il cambiamento che viviamo, di rispondere alle attese di oggi e costruire modelli di riferimento adeguati a questo nuovo contesto. Anche se non ne nascondiamo la fatica e il disorientamento di fronte a giovani privi, loro stessi, di qualsiasi riferimento certo. Innanzitutto si modificano le sostanze di elezione. Negli anni sono sempre più i cocainomani e sempre meno gli eroinomani. Molti gli alcolisti. Si fa sempre più strada l’infernale abuso di sostanze chimiche di ogni genere e Thc fin da giovanissimi. Tutto questo si riflette tanto nel loro sviluppo psichico ed emotivo, inficiando la capacità di attenzione, di memoria, di concentrazione, di ascolto.

“Sempre più accogliamo tossicodipendenti di seconda generazione”

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Dove incontrate i giovani tossicodipendenti?

Li troviamo spesso in carcere perché la fame di soldi, il sogno della vita facile, li ha guidati sulle strade dell’illegalità, pensando che una vita senza limiti fosse l’espressione della vera libertà. E così è arrivato il carcere. Da qui accettano, poco convinti, il percorso comunitario, e questo va a discapito della limpidezza del cammino e del gusto di relazioni nuove. Sono poco curiosi, poco stimolati da una novità di vita e molto legati, ancora, al luccichio di una vita di immagine. Ma come sempre hanno il cuore molto ferito; vivono un senso di solitudine e inadeguatezza fortissimi, con legami familiari evanescenti e poco rassicuranti. Sempre più spesso accogliamo giovani tossicodipendenti di seconda generazione. E allora i modelli di riferimento più sacri diventano motivo di emulazione, rabbia, dolore. E’ sicuramente una sfida molto alta che si deve raccogliere insieme a tutte le realtà educative impegnate e attente allo sviluppo globale dei nostri giovani. La Comunità si offre come una realtà accogliente che educa al rispetto delle relazioni, alla generosità, alla gratuità degli affetti. E’ esperienza quotidiana, infatti, che se i nostri ragazzi non si innamorano di una storia più vitale fatta di volti e di progetti solidali, e non si sentono accolti e valorizzati per i doni che hanno, le sostanze continueranno ad essere l’unica risposta certa a un senso di vuoto e solitudine incolmabili.

L’intuizione di don Nilo: il perdono come fondamento del progetto educativo

Don Nilo Nannini è stato fondamentale nell’accompagnare la comunità. Qual è l’intuizione più grande che ha avuto?

Ancora oggi, quasi novantatreenne, don Nilo continua ad accompagnare la Comunità, partecipando a tanti momenti importanti della nostra quotidianità, e rimanendo il riferimento per tutti gli operatori e amministratori della Cooperativa Comes. Lo hanno sempre contraddistinto la capacità di leggere l’umano e la sofferenza che incontrava, con grande lucidità e tenerezza, dando risposte mai preconfezionate ma adeguate al patire che ogni situazione metteva a nudo, nella varietà dei bisogni e delle urgenze, proponendo strade e progetti che spesso hanno precorso i tempi. Forse l’intuizione più grande, oltre ad avere elaborato il Perdono come fondamento del progetto educativo, è stata quella di capire che non si può essere divisi di fronte alla tossicodipendenza, per cui ha sempre cercato, oltre che preteso dai suoi operatori, convergenze di interventi fra Comunità, famiglia e Servizio pubblico.

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Don Nilo Nannini.

C’è una storia particolare di un giovane o una giovane che è stata accolta nella comunità e può rappresentare un segno di speranza per tanti altri coetanei?

Ripetiamo sempre che uscire dalla tossicodipendenza è un capolavoro. Ognuna delle oltre 1.600 persone che sono passate da Sasso, chi più chi meno, ha contribuito a creare speranza, anche solo per avere provato a camminare con noi. Fra tutti questi spiccano coloro che hanno fatto poi una scelta di vita per gli altri, mettendosi al servizio di Sasso e diventando i fratelli e le sorelle maggiori di chi entra oggi in Comunità. Nessuno più di loro può essere segno di speranza che dalla tossicodipendenza si può uscire se non si vive più per sé stessi e si diventa solidali con le fatiche degli altri. Per cui non possiamo che ringraziare il Signore di avere messo sul nostro cammino Patrizia, Stefano, Luca, Stefano, Morando, Roberto e tanti altri che oggi purtroppo non sono più con noi.

I progetti di autonomie condivise con il sostegno della Diocesi di Faenza-Modigliana

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Quali i progetti per le sfide future?

Come abbiamo detto, i tossicodipendenti cambiano come cambia il mondo e le persone che lo abitano, per cui bisogna continuamente cercare risposte il più possibile adeguate, al passo con i tempi nuovi. Sempre di più lo sforzo si sta spostando nel costruire progetti personalizzati fuori dalle strutture residenziali tradizionali verso autonomie condivise sul territorio. Per cui sempre di più diventa fondamentale che, non solo la Comunità terapeutica, ma la comunità dei cittadini si senta coinvolta e responsabilizzata nell’accoglienza di queste nostre sorelle e fratelli più affaticati. Appartamenti comunitari, sostegno all’inserimento lavorativo, alla salute, all’integrazione nel tessuto sociale sono le ultime e più importanti sfide che stiamo affrontando da Faenza a Ravenna, passando per Bagnacavallo, Russi e Lugo.  Si apre anche uno spazio assai delicato al nostro impegno, che richiede di mettere a fuoco delle risposte puntuali per chi porta i segni della cronicità della tossicodipendenza, per arginare la deriva alla solitudine se lasciati a loro stessi. C’è bisogno di strutture che facilitino i rapporti che sostengano nelle difficoltà e rendano possibile la gestione di questo patire che in questo modo può dare dignità e speranza. Per tutti questi progetti dobbiamo essere grati alla nostra Diocesi di Faenza-Modigliana, che a Faenza ci ha messo a disposizione dei locali e a Bagnacavallo ci ha concesso, in comodato, Villa Gamberini, che dal 2000 è diventata la casa per il reinserimento socio-lavorativo delle persone che vengono da percorsi di recupero.

a cura di Samuele Marchi