Le porzioni di affreschi giotteschi riminesi che si ammirano nella sala superiore dell’episcopio medievale di Faenza vennero alla luce nel 1948. Nella parete corta occidentale, sopra ampia fascia verde delimitata da cornici, che originalmente correva tutt’attorno alla stanza, sono raffigurate Quattro martiri. Vicino ad esse, all’inizio della parete lunga settentrionale, Un santo acefalo, Tre busti di defunti riccamente abbigliati adagiati a terra, altri tre stesi nel sepolcro in differenti stati di decomposizione, ed infine un Giudizio Universale (sovrastato dalla scritta “surgite”). Sull’iconografia delle scene escatologiche della parete nord si vedano gli scritti di Corbara, Scafi e Tambini.

Il ciclo della scuola giottesca riminese

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Il ciclo fu subito assegnato alla scuola giottesca riminese del Trecento, pur riconoscendovi influenze dalla pittura gotica naturalistica di matrice bolognese. Il Corbara accosta le scene della parete nord al ciclo del Camposanto di Pisa e a quello analogo dell’Orcagna in Santa Croce di Firenze, mentre il Volpe rileva contatti con i perduti affreschi della chiesa Santa Maria in Porto Fuori di Ravenna. Golfieri poi li avvicina al polittico delle Clarisse nella Pinacoteca, e la Tambini al dossale di Sant’Orsola a Denver. Quest’ultima studiosa, a motivo delle influenze bolognesi, ipotizza che i Riminesi attivi nell’episcopio, i cui nomi ci sfuggono, si siano avvalsi di maestranze locali. Dopo aver fatto per esse i nomi di Pace, Bindino e Masio de’ Conti, propende per quest’ultimo, già da lei proposto nel 1995 quale autore del dossale di Sant’Orsola.

Il pittore testimone

Il nome di Masio compare effettivamente in un documento vescovile risalente a quegli anni, già noto all’Azzurrini, in circostanze che sembrerebbero collegarlo agli affreschi. In calce ad un pagamento compiuto dell’emissario dell’abate di Pomposa, si legge: Act(um) Faven(tiae), in ep(isco)patu, press(entibus) [seguono alcuni nomi] et Maxio pictore, t(es)t(ibus), cioè: «Scritto a Faenza, nell’episcopio, presenti e il pittore Masio, testimoni». La comparsa del pittore come testimone ad un atto di pagamento non ha carattere di eccezionalità. Tuttavia assume una certa rilevanza se si considera la data, compresa tra quelle indicate per l’esecuzione degli affreschi, il luogo, l’episcopio, e il pittore, che la Tambini lo indica in maniera indipendentemente dall’atto quale ausiliare dei Riminesi. Forse cioè la presenza del pittore in episcopio non si deve tanto al pagamento in sé, ma forse a motivi professionali, vale a dire la pittura delle pareti della sala episcopale. La Tambini ha raccolto alcune notizie su questo artista. Con un altro pittore faentino di nome Bindino compare quale testimone ad un atto scritto nel monastero di San Vitale di Ravenna nel 1314, forse mentre vi stava eseguendo, come pensa il Bernicoli, qualche lavoro pittorico. Nel 1338 insieme al pittore lughese Ugolino Bolonesi affresca la cappella maggiore ed il coro della chiesa di San Francesco di Lugo, dove dipinge anche un polittico nel quale erano rappresentati la Beata Vergine e alcuni santi, tra cui Bonavita di Lugo. Quest’ultima notizia è conservata dal Bonoli.

Il documento vescovile e la costruzione di tanti edifici religiosi

L’atto vescovile di cui sopra è datato al 23 novembre 1340, festa di San Clemente, che a Faenza si celebrava allora nella chiesa pomposiana omonima (su via Naviglio). Già fin dal 1982, sulla base degli accostamenti del Corbara e del Volpe, la Tambini aveva datato il ciclo al decennio 1330-1340 (con una propensione per l’ultimo anno). Recentemente indica la fine dell’episcopato del vescovo Ugolino (1311-1336), un francescano, da cui conseguirebbe una datazione agli anni 1330-1336. Il documento vescovile appartiene al tempo del vescovo Giovanni Brusata (1336-1342), un canonico regolare dell’ordine di San Marco di Mantova, che visse nel convento di Santa Perpetua fuori della Porta Montanara (odierna Osservanza). Durante il suo episcopato vennero edificati il monastero della Santissima Trinità dei Celestini, quello di San Giovanni Battista di Bagnacavallo dei Camaldolesi, la chiesa di San Martino in Silva Faentina (Reda), del Comune, e alcuni ospedali: Santa Maria Maddalena di Renaccio, San Giorgio Furcoli e Tumba dei Medici, nel fondo Pidriolo, tra Formellino e Ronco.

Ruggero Benericetti