Un trend stabile. E questo non è affatto un buon segnale. Dal 1° gennaio al 31 ottobre 2023 sono state 120 le donne che si sono rivolte a Sos Donna nei Comuni della Romagna faentina. E dietro ognuno di questi numeri c’è una storia fatta di violenza – fisica, psicologica, economica – che può essere durata anni, prima di trovare il coraggio di denunciare.

I numeri, 40 avevano già avuto un colloquio

«Nel contesto faentino – spiega Antonella Oriani, presidente dell’associazione che da anni si batte contro la violenza di genere – l’andamento dei dati si mantiene in linea con gli anni precedenti». Di queste 120 donne, 80 rappresentano nuovi contatti, mentre 40 avevano già avuto un colloquio o un percorso con Sos Donna. Le violenze registrate sono di vario tipo e una persona ne può segnalare molteplici: in 48 hanno denunciato episodi di violenza fisica, 36 di tipo economica, in 13 violenza sessuale e 78 violenza psicologica. Oltre all’assistenza immediata, Sos Donna offre anche il supporto di cinque case rifugio e due di semi-autonomia, per consentire alle donne la giusta protezione. Fatti di cronaca nazionale, come quello di Giulia Cecchettin, impongono ancora di più un salto di qualità nella lotta contro la violenza di genere. E si deve partire dalla prevenzione. «Le leggi ci sono e vanno applicate, ma non bastano. La violenza contro le donne è un problema strutturale della nostra società – commenta Oriani -, quindi si deve lavorare soprattutto nella prevenzione e nell’educazione. Per questo come Sos Donna dal 2000 abbiamo deciso di puntare molto sull’entrare nelle scuole e svolgere attività con i giovani. Rappresentano infatti lo spazio egualitario per eccellenza. Se la famiglia può vivere contesti socio-culturali dannosi, la scuola invece è il luogo specifico dove far passare l’educazione alle differenze e il rispetto per la diversità».

Antonella Oriani, presidente di Sos Donna Faenza: “Serve un cambiamento culturale di tutto il sistema”

Le attività nelle scuole da sole, però, devono andare di pari passo con la società nel suo complesso. «Bisogna puntare a un cambiamento culturale sistemico, non a spot. Speriamo che andando tutti nella stessa direzione, le nuove generazioni siano portatrici di un maggiore rispetto nei confronti degli altri. Ci sono ancora tanti stereotipi che devono essere superati. Ne cito alcuni: il fatto che uomini stranieri siano più violenti di quelli italiani, un dato che non è assolutamente vero. Oppure altri relativi ai limiti della libertà della donna, che la portano unicamente ad avere un ruolo di cura della casa e che deve sopportare le sofferenze. Oppure diversi pregiudizi legati al modo di vestire della donna o al sessismo imperante nella pubblicità. Su questi temi bisogna ancora lavorare molto». Impossibile non soffermarsi sul femminicidio che ha visto coinvolta Giulia Cecchettin, 22 anni. «A livello emotivo e mediatico è stato percepito dai mezzi di informazione in maniera differente dai precedenti. Forse per la giovane età di Giulia, forse per via dell’efferato rapimento… ho percepito una reazione diversa da parte della società». La violenza di genere può assumere varie forme e quella della violenza fisica è solo una di queste. «A volte la donna non si rende conto di stare subendo violenza, come nei casi della violenza economica o psicologica. Nelle scuole portiamo alcuni esempi. A volte anche tra gli adolescenti si scambia ciò che può essere una forma di gelosia con il controllo e possesso ossessivo. Le nuove generazioni devono rendersi contro che se qualcuno controlla i chilometri che hai fatto col motorino o vuole sempre sapere dove sei è una forma di controllo che è prodromo alla violenza. E quando non si coglie questa differenza, non si denuncia». Altre volte invece è la paura del giudizio altrui o il senso del fallimento personale a bloccare la donna vittima. «Un progetto che vorremmo realizzare a breve, conclude Oriani, è relativo alla peer education, facendo sì che i giovani stessi si educhino tra loro su questi temi».

Samuele Marchi