E’ qui che per la prima volta Ambra ha visto qualcuno cucinare una torta per lei. È qui che Semir è tornata a darsi lo smalto e a curarsi i capelli. È qui che Eva ha trovato un letto e una cucina, dove fino a ieri stava rintanata in una cantina. I locali dell’accoglienza femminile della Caritas sono uno spazio per sentirsi accolte e riconquistare, passo dopo passo, la propria dignità. Che prende forme semplici e, per questo, significative: una torta, uno smalto e un letto. Cose che avevano dimenticato. E a fianco di questi cibi e oggetti, ci sono sempre altre persone: ospiti o volontari che diventano compagni di viaggio e con cui si instaura una relazione sincera. Domenica scorsa, in occasione della Giornata mondiale del povero, il vescovo monsignor Mario Toso ha benedetto i locali dell’accoglienza femminile che dal 2021 si trovano al Centro di ascolto diocesano in via d’Azzo Ubaldini. Un servizio che offre quattro posti letto a donne che vivono situazioni di particolare criticità. Il servizio è attivo dal 2014: inizialmente la sede era presso la parrocchia di San Domenico, poi è stato trasferito in via Strocchi e infine, dal maggio 2021, si trova nel plesso adiacente al Centro di ascolto. Da quando è stato aperto sono state accolte 60 donne, 18% italiane, 77% straniere e 5% con doppia cittadinanza. Il 30% di queste aveva più di 55 anni, e in particolare il 15% più di 65 anni. Finora nel 2023 sono state una decina le donne ospitate. Sono una decina anche le volontarie che garantiscono ogni giorno l’apertura dell’accoglienza femminile promuovendo anche momenti di convivialità e aggregazione.

Il dormitorio femminile: dignità e autostima

A vedere l’evoluzione di questo spazio negli anni è Alice Cicognani, medico, che ha prestato servizio nell’accoglienza femminile fin dalla sua istituzione. «Prima ancora che uno spazio, è un luogo di incontro. Fu Damiano Cavina a chiedermi, nel 2014, di intraprendere questa avventura”». L’accoglienza è nata dalla lettura di un bisogno sul territorio: ci si rese conto che mancava una struttura per le donne senza fissa dimora. Rispetto al dormitorio maschile, questo spazio fin dalla nascita vuole essere più accogliente e offrire anche momenti ricreativi e di convivialità, come può essere il cucinare o fare merenda assieme. «Per questo si è deciso di aprirlo prima di cena, per offrire così occasioni di condivisione tra le donne ospitate e le volontarie e aiutarle nel proprio percorso. Per loro è importante sì avere un posto in cui dormire al sicuro, ma lo è anche riconquistare la propria dignità, avendo persone a fianco che ti accolgono e ti aiutano nella cura della persona. Ritornare a curare il proprio aspetto è importante per acquisire autostima, oltre che per presentarsi a un colloquio di lavoro». Prima di questo servizio Alice non avrebbe mai pensato che ci fossero casi di povertà estrema a Faenza. «Invece ci sono – commenta.- Ora li ho toccati con mano, e ti scontri con la situazione di donne che la vita ha imbruttito e che provano a rialzarsi». A rivolgersi all’accoglienza sono donne dalle storie e vissuti molto diversi. «In particolare, abbiamo avuto molte badanti ed ex badanti. Una volta che è morto l’anziano che accudivano, alcune restano sulla strada. Ricordo una signora, ultra 70enne, che era costretta a vivere quasi di nascosto in una cantina. Si presentò in Caritas con un occhio nero. Una volta accolta qui, ha fatto un bel percorso e attualmente vive in un appartamento. Ci sono però anche giovani che sono di passaggio, così come persone con problemi di dipendenze».

Essere in accoglienza significa essere in relazione

Essere in accoglienza significa stare a fianco di queste donne e instaurare con loro relazioni. «Come in tutte le situazioni, ci sono persone con cui è più difficile e altre con cui è più facile. Chi fa questo servizio sa che deve mettersi in gioco, ma si viene pienamente ripagati per quello che si fa. Ricordo con gioia per esempio le cene multietniche, i thè marocchini che ci preparavano le ospiti, l’imparare a fatica la lingua dell’altra persona». Cita per esempio il difficoltoso incontro con una donna albanese, da cui ha imparato però alcune parole e a cui è rimasta molto legata. A fianco di questi momenti, il Centro di ascolto progetta percorsi per aiutare queste donne a uscire dalla propria fragilità: quella dell’accoglienza è infatti una sistemazione temporanea. «Una delle cose che più belle – conclude Alice – è incontrare e salutare queste donne per la strada, dopo che hai vissuto un pezzo di cammino con loro. Tante, superata la fase emergenziale, restano legate alla Caritas e ai volontari. Questo significa che c’è stata una relazione vera che è andata al di là del bisogno».

Samuele Marchi