Esprimersi attraverso l’arte significa raccontarsi nel migliore dei modi possibili. Lo insegnano le 21 ragazze che hanno aderito al progetto Artemisia, realizzato grazie a un bando dell’Unione europea presentato dall’associazione Pigreco-Semi. Uno spazio per dare voce a donne che vengono da contesti difficili, nato dall’idea di cinque ragazze: Samantha, Silvia, Sofia, Chiara e Alessia.

A Faenza, laboratori di donne per le donne

«I laboratori messi in campo da Artemisia ogni settimana – cucito, disegno e pittura, fotografia, ceramica – sono la risposta a un bisogno della nostra comunità» spiega Danai Nakou, l’operatrice socio-giovanile che segue il progetto. A partire dal 2 ottobre una volta a settimana le ragazze si trovano per seguire un laboratorio. «C’è in ognuna di loro l’ idea di un’economia sostenibile in cui tutto il materiale a disposizione viene utilizzato e riutilizzato senza spreco» continua Danai. Un progetto di volontariato che include anche la presenza di artisti del territorio che una volta al mese incontrano le ragazze nei laboratori. «È incredibile come la risposta di tutti sia stata subito molto positiva – aggiunge Samantha Alberti, una delle volontarie – ogni volta che abbiamo bisogno di materiale per i nostri laboratori, basta mettere in giro la voce e veniamo sommerse». Un ambiente totalmente femminile «creato dalle donne per le donne» dice Samantha, con lo scopo di restituire protagonismo a chi viene da situazioni svantaggiate. «Vedere una comunità di donne che mettono in campo le loro passioni è un’esperienza di bellezza non meno complessa di un testo filosofico, non meno appagante di un’opera d’arte» dice Chiara Minardi, laureata in filosofia, tra le promotrici del progetto. Le ragazze partecipanti sono 21, hanno dai 18 ai 45 anni, quasi tutte vengono da Faenza, due di loro sono ucraine e una afgana. Dietro di loro ci sono comunità di accoglienza, richieste di asilo, centri di salute mentale. Davanti a loro un piccolo percorso artistico da vivere con entusiasmo. «Lavorare con la ceramica è bello, perché significa sperimentare se stessi, tirare fuori l’arte che si ha dentro» dice Linda. «È bello venire qui perché mi ricorda il laboratorio di ceramica di mia madre e mia zia e i giochi che da piccola facevo con i loro pezzi» dice Jolanda. «Per me è dare spazio alla curiosità che mi è rimasta da quando ho abbandonato il liceo artistico e ho lasciato la scuola» dice Giusy. Ognuna di loro ha una storia ingombrante, ma in tutte c’è spazio per realizzarsi e realizzare qualcosa di bello. Come insegna a fare l’arte.

Letizia Di Deco