Ufficialmente quella casa in via Carboni 14 a Faenza è agibile. Non ci sono danni strutturali. Basta però un’occhiata, una volta entrati, per capire che ci vorranno anni prima che possa tornare a essere abitata. Le pareti sono ancora impregnate d’umidità. Finestre, porte, tetto e pavimento sono da rifare, così come l’impianto elettrico. Si fatica a immaginare come quelle stanze vuote, fino a qualche mese fa, fossero piene di mobili, arredi, elettrodomestici, ricordi di una vita di cui non resta più nulla.
La testimonianza di Giuseppe
L’acqua qui ha completamente sommerso tutte le villette, non risparmiando nemmeno i piani più alti. Quella casa è agibile, ma chiamarla casa è un azzardo. Servono interventi da centinaia di migliaia di euro, «ma forse a questo punto converrebbe direttamente raderla al suolo e non costruire più nulla qui, dove infatti un tempo non c’erano case – commenta il proprietario, Giuseppe Carroli, da 12 anni in pensione, che qui viveva con la sorella -. Almeno in via Calamelli e in altre zone di via Lapi i piani più alti di condomini e abitazioni si sono salvati: qui nulla è stato risparmiato e non ho nemmeno una stanza in cui stare. E di fronte a questo scenario, 5mila euro sono quasi una presa in giro. Senza contare che per le persone anziane, compilare i moduli in via telematica è un’impresa. Ci sono residenti di 90 anni abbandonati a loro stessi».
Dopo oltre tre mesi dall’alluvione la rassegnazione
A oltre tre mesi dall’alluvione inutile girarci intorno: la rassegnazione è il sentimento prevalente di chi ha perso la casa e non è in condizione di trovarne una nuova. Ci si sente abbandonati dalle istituzioni. «Siamo stanchi delle passerelle dei politici e delle loro promesse: se i soldi non ci sono che lo dicano e basta» dice Giuseppe, che in questi mesi ha trovato ospitalità nella parrocchia di San Terenzio in Cattedrale dove tanta è stata la solidarietà ricevuta, «grazie alla quale ho ricevuto la forza di andare avanti». Negli occhi traspare ancora il ringraziamento per i carabinieri e vigili del fuoco che lo hanno salvato quella notte del 16 maggio, mentre, riparato nelle stanze più alte, vedeva l’acqua alzarsi sempre di più e gli armadi bloccare le porte d’ingresso e ogni possibile via di fuga: «a loro va dato un grande premio» commenta. In queste settimane tramite la Caritas è stato possibile trovare qualche mobilio, ma progettare il futuro in via Carboni è quasi impossibile. Giuseppe passa qui ogni giorno a curare le piante e i propri animali per non lasciarli soli, ma il fiume continua a fare paura, così come la pioggia tutte le volte che nuvole nere si addensano all’orizzonte. «Dopo l’alluvione abbiamo avuto nuovi allagamenti. La situazione è insostenibile.
“Che senso ha rifare casa qui?”
Abito qui da 70 anni, ma ora mi chiedo: che senso ha che io mi rifaccia la casa? E con quali soldi? Stiamo arrivando al limite della sopportazione. Sarebbe un segnale se, quantomeno, ci annullassero le bollette. E sarebbe importante calmierare i prezzi, perché altrimenti anche quel poco che ci verrà dato sarà eroso dall’aumento dei prezzi». C’è poi chi si trova con le spalle al muro e non ha scelta: l’unica soluzione è tornare lì, tra quelle pareti umide e arrangiandosi come si può. Nei pressi della casa di Giuseppe abita una famiglia di origine straniera: una giovane coppia madre, padre e due bambini, che sono qui da sei anni. Loro, senza appoggi sociali, hanno deciso da due settimane di tornare ad abitare in via Carboni. Sono tra i pochi a essere tornati a stare in quella via ora fantasma. Gran parte dei mobili mancano ancora, la cucina è improvvisata, «ma non abbiamo scelta» commenta il padre, che si dimena tra il lavoro e gli interventi quotidiani per cercare di sistemare casa. La madre, invece, racconta delle difficoltà che ha ora con i bambini: prima dell’alluvione si appoggiava all’asilo Il Girasole in via Calamelli, sommerso dall’alluvione. Ora sono accolti provvisoriamente al Tolosano: senza auto, senza passeggino a due posti e con l’arrivo dell’inverno questo tragitto diventa problematico. Gli sforzi per far arrivare qui un pulmino, tramite il Comune, sono stati vani, «ci è stato detto che ora ci sono pochi bambini in questa zona e non conviene» dice la mamma. Giuseppe ha conservato nelle stanze ora vuote di via Carboni qualche giocattolo per loro. C’è anche un cavallo a dondolo. Un piccolo segnale di normalità in una via che non deve essere dimenticata.
Samuele Marchi