In questa settimana di fine estate, avremmo voluto dedicare le notizie marradesi alle belle attività programmate: la tradizionale festa nell’aia della Comunità di Sasso o il concerto che doveva svolgersi nella suggestiva Chiesa della S. Annunziata delle Domenicane o ancora la festa patronale di San Michele Arcangelo presso la chiesa di Abeto nella Valle Acerreta, ma invece – come per un maligno incantesimo – il tempo si è fermato lunedi 18 Settembre: quando la notte regnava ancora sovrana, una forte scossa di terremoto di magnitudo 4,8, con epicentro proprio a Marradi, ha sconvolto il nostro paese e niente è stato più come prima.

La grande paura

La terra, diventando improvvisamente maligna, ha tremato risvegliando una delle paure più ataviche dell’uomo: le porte si son ben presto aperte e in un attimo la notte si è rischiarata per i tanti fari delle auto, gruppetti di persone si sono raccolti ai bordi delle strade, in piazzette, nei parcheggi: impaurite, arruffate, vestite alla meno peggio, spesso con pigiami o camicie celati sotto coperte, in mano i cellulari a cercare notizie dei propri cari. Il paese si è animato come un giorno di fiera, le voci son tuttavia restate sommesse, quasi a non voler disturbare i pensieri gli uni degli altri. Piano piano la luce di un nuovo giorno ha preso il sopravvento e la macchina dei soccorsi velocemente si è organizzata: il Sindaco, come misura preventiva, ha chiuso le scuole, poi è iniziato il controllo di ambienti pubblici e privati; un’altra sofferta decisione è stata l’evacuazione, a scopo precauzionale, della casa di riposo “Villa Ersilia” e coloro che sono un po’ i nonni di tutti,sono stati spostati in altre strutture del Mugello: è stato come lasciare andare un po’ delle nostre radici. Anche le nostre belle chiese, che tra le loro mura racchiudono tanta parte della vita di ognuno, fatta di gioie e di lacrime, sono state chiuse e transennate e ora, solitarie, intristiscono ulteriormente i cuori di molti.

La conta dei danni

È seguita la conta degli altri danni: caduta di calcinacci, di qualche soffitto, ma soprattutto crepe, tante crepe che, come ferite, hanno reso inagibili diversi edifici e queste “ferite” velocemente hanno riportato i pensieri a un recente passato, l’alluvione di maggio, quando il nostro territorio è stato devastato da moltissime frane, che ancora devono essere curate… Sorgono spontanee riflessioni, pensando agli ultimi eventi, dove la natura appare sempre più capricciosa, non più madre amorosa e protettrice, ma matrigna cattiva, come l’avrebbe definita il grande poeta Leopardi. Eppure, come negli altri momenti di difficoltà, il paese, si è ritrovato Comunità dove condividere paure ed emozioni: ogni parola consolatrice serve per gli altri, ma anche per sé stessi. Ogni saluto acquista una valenza particolare durante le lunghe notti: nei luoghi di raccolta, dalle tante tende che come funghi sono apparse in prossimità delle case o, semplicemente, dalle auto nei parcheggi. I valori acquistano valenze e graduatorie diverse e “il letto” della propria casa diventa il luogo del benessere per eccellenza. Durante il giorno, nonostante la terra continui a tremare, si cerca di vivere una vita normale, sapendo che i pensieri di ognuno sono i pensieri di tutti: ancora una volta si devono fare i conti con la precarietà della vita… e per questo è indispensabile riconoscere che la vita è il dono più importante ricevuto e, con gratitudine, ogni giorno dobbiamo considerarne il valore e l’unicità.

Fedora Anforti