Il 27 settembre scorso in Cattedrale si è celebrata la messa, presieduta dal vescovo monsignor Mario Toso, in ricordo di monsignor Silvano Montevecchi, nel decennale della morte. Per l’occasione, in Cattedrale il vescovo Mario ha incontrato prima della celebrazione i cresimandi di Rossetta giunti a Faenza con il diacono Roberto Gordini e alcuni genitori. I cresimandi hanno poi partecipato alla messa in ricordo di monsignor Montevecchi. Di seguito riportiamo l’omelia pronunciata durante la messa da monsignor Mariano Faccani Pignatelli.

L’omelia di monsignor Mariano Faccani Pignatelli

Eccellenza Reverendissima, cari Confratelli, carissimi fratelli e sorelle,

la Parola di Dio suggerisce due poli sempre attuali: ricostruire la Casa di Dio e riportare il popolo di Dio a servirlo da gente libera, missione che il sacerdote Esdra cercò di realizzare dopo la deportazione in Babilonia; mettere sempre in primo piano una missionarietà che non deve conoscere condizionamenti perché è sempre novità e sorpresa da parte di Dio.

Nel pendolarismo tra questi due fuochi della vita della Chiesa si inserisce molto bene la figura del Vescovo Silvano.

Mons. Silvano fu uno degli ultimi interpreti di una tradizione del Clero faentino che in alcuni temi coraggiosi ha anticipato il Concilio Vaticano II. Sua costante figura di riferimento, ossia un nome che nella mia esperienza aveva sempre sulle labbra, era quello di Mons. Costantino Babini, morto nel 1968 a Parigi, che fu missionario degli emigrati italiani i quali, sopratutto perché socialisti, a partire dal primo Novecento e nel tempo seguente dovettero emigrare. Tempi difficili e non sempre compresi, temi coraggiosi.

L’altra figura era quella dell’amato rettore del Seminario Mons. Alfredo Zini, morto nel 1973, sacerdote di grande delicatezza d’animo e fine letterato, che si trovò a gestire il nostro Seminario quando i tempi erano piuttosto tempestosi. Quante volte mi faceva il ripasso della letteratura mediata dal ricordo di don Zini e mi presentava le sue assidue letture, perché con mia grande sorpresa don Silvano di notte più che dormire leggeva. Con enorme sacrificio aveva proseguito gli studi a Roma e aveva accresciuto la sua statura intellettuale.  

Per esempio, la sua assidua opera in campo medico ed etico era assolutamente sostenuta da un puntuale aggiornamento, così che era in grado di affrontare impegnative discussioni. La tenacia del carattere, che mutuava dalla sua mamma, una donna della prima Azione Cattolica, tutta d’un pezzo, e dalle sue vicende fisiche, lo individuavano come un grande costruttore: non si perdeva mai d’animo e sempre ricominciava anche se un’opera fosse da rifare da capo.

In questo senso lo avvicinerei al Sacerdote Esdra di cui abbiamo ascoltato nella prima lettura: ci voleva tenacia per costruire il Tempio e scontrarsi anche con piccoli interessi del suo stesso popolo.

Mons. Silvano, dietro una certa austerità nascondeva un gran cuore di Padre e, soprattutto, un rispetto e una comprensione verso le persone, specialmente se sacerdoti, che mi stupivano.

Sì, a volte si commoveva anche per gli errori altrui perché lo colpivano profondamente e si dispiaceva di dover prendere provvedimenti. Qui ritrovo il vangelo odierno in cui Gesù invia i suoi Apostoli a cacciare i demoni e guarire le malattie, ossia sollevare l’umanità sofferente qualunque sia la cagione di tale sofferenza. Ma ritrovo anche il coraggio e la grande umanità di Costantino Babini.

Così don Silvano era sempre pronto a correggere, a perdonare e soprattutto a incoraggiare per superare gli ostacoli, fiducioso che la persona potesse migliorare.  

Sentimenti questi di fiducia nel futuro che egli aveva sperimentato sulla sua stessa persona, una visione fattiva ma serena che riversava attorno a sé. A volte il Vescovo Bertozzi faceva capire apertamente che voleva certi risultati e con umiltà ce la metteva tutta, poi con aria di rivincita diceva: hai visto che ce l’abbiamo fatta! E certo, quante volte lui stesso ce l’aveva fatta percorrendo ferrate difficili in montagna, raccogliendo la sfida con se stesso.  

Ritrovare una patria come gli Ebrei nel loro tornare in Giudea: la stessa passione che aveva verso questa nostra terra, l’ha messa ad Ascoli dove è sepolto, ma io credo che non abbia mai dimenticato la sua Romagna come gli Ebrei portavano nel cuore sempre la loro Gerusalemme, e ora auspichiamo che don Silvano sia nella Gerusalemme del Cielo.     

                                                    don Mariano Faccani Pignatelli