Nelle cronache di questa storia c’è spazio anche per chi non ha difese, per chi non ha pretese. C’è spazio per tutti nella storia di una città, anche se a volte questo spazio è una camera silenziosa di una residenza per anziani. Nel caldo del pomeriggio di luglio le ore scorrono lente, il pensiero va a una casa che non c’è più, a ricordi che riaffiorano sporchi di fango nei pensieri di una vita. Nella casa di riposo Il Fontanone a Faenza sono stati accolti gli anziani segnalati dagli assistenti sociali, rimasti senza casa dopo l’alluvione e bisognosi di assistenza.

Un momento di ascolto con gli psicologi della sezione Sipem

Lo scorso lunedì 10 luglio una squadra di psicologi dell’emergenza volontari della sezione Sipem della Protezione civile – attivi dal 16 maggio a Faenza per aiutare la popolazione a gestire lo stress post-traumatico -, li ha incontrati. Un cerchio, un dialogo, un momento di ascolto. I sentimenti non invecchiano con l’età e un’alluvione non può portar via la dignità a nessuno. Qualcuno di loro dice: «Alla mia età non ho da aspettarmi più nulla dalla vita». Non è così. Non ci sono persone che hanno più o meno diritti di altre. Basta sedersi in mezzo a loro per rompere il silenzio e allora iniziano i racconti. «Il pianeta è la nostra casa», dice Giorgio che è lì con la moglie Emma, «se l’uomo ha fatto degli errori negli anni poi paga il conto». Accanto a questa consapevolezza ci sono anche la stanchezza e il senso di abbandono. «Io ho paura in questa incertezza. Finché stiamo qui va bene, ma poi dove andremo?» dice Emma. Eppure, in questo domani di nebbia, c’è ancora il modo di scherzare, così il marito le risponde: «Non sotto i ponti perché io non mi voglio bagnare più». Si sono salvati scappando poco prima del disastro, ci raccontano, grazie all’aiuto di una famiglia marocchina vicina di casa. «Se non ci avessero dato una mano loro chissà che fine avremmo fatto…».
Una storia simile è quella di Fabio, invalido e salvo per l’intervento di una vicina di casa. «Ho visto l’acqua salire e non è stata affatto una bella esperienza. Sono vivo perché la mia vicina ha suonato il mio campanello prima che fosse troppo tardi, altrimenti io sarei andato a letto e non sarei riuscito a mettermi in salvo da solo». La gratitudine per un’attenzione ricevuta fa sfumare un po’ l’incubo, ma dimenticare è impossibile.

Desideri e paure

I desideri sono pochi in questi momenti, ma la voglia di casa è forte in tutti loro e in ogni sguardo c’è il ricordo di ciò che si è perso. «Chi poteva immaginare un disastro così? A novant’anni ho perso tutto» racconta Alina, appassionata escursionista. I suoi libri sulla montagna non ci sono più, come non ci sono più i vestiti, le foto, un articolo di giornale con la sua foto. Eppure il suo pensiero va ai giovani che hanno perso una casa appena costruita. Alle nuove generazioni che aiutano e che imparano da quanto è accaduto. «Almeno ho salvato i miei uccellini. Tutto fa compagnia a questa età». Oltre a questi sentimenti di dolore, c’è anche una rabbia un po’ diversa da quella che conosciamo. Non è la rabbia di chi protesta e fa rumore, ma quella di chi voltandosi indietro vede una vita vissuta con i suoi alti e bassi. Una rabbia che chiede disperatamente un po’ di tranquillità alle istituzioni. «Vorremmo sapere che cosa succederà ad agosto – dice Antonella, sfollata all’hotel Cavallino che viene a trovare la madre tutti i giorni -. Chi è qui deve essere tutelato perché è una persona fragile, con disabilità. Vorrei dover portare via mia madre da qui solo per riportarla a casa». Anche Laura, accolta nella struttura insieme alla madre chiede serenità. Quel che dice è il pensiero di tutti coloro che hanno perso casa così: «E’ difficile dormire la notte. Ogni volta che piove ho paura, vorrei poter essere un po’ serena». In questa voglia di pace, di quiete, si rielabora il senso di una tempesta che nessuno di noi dimenticherà mai. A prescindere dalla sua età.


di Letizia Di Deco