C’è chi cerca di trovar parole per dare un senso a quel che è successo provando ad ascoltare questo disastro per guardarlo con gli occhi dei bambini. Ci ha provato Monica Vecchi, del servizio Accademia Vocazionale dell’agenzia di comunicazione e promozione locale MysunnyRomagna, con la sua storia illustrata Silenzio, parla il fiume! realizzata insieme a Lucia Borghi. Un racconto per bambini che mette su carta le parole che hanno fatto irruzione in una notte cercando di trasformare la catastrofe in una metafora che possa far cogliere ai più piccoli uno sguardo fiducioso verso il futuro. Un pensiero coraggioso che l’autrice sente l’esigenza di esprimere da subito. «Il giorno dopo l’alluvione ho sentito l’esigenza di dare spazio alle parole e il lunedì successivo avevo già finito di scrivere e illustrare il racconto. La storia è arrivata da sola, come dovesse inevitabilmente uscire», così ci racconta Monica. «Avevo l’esigenza di esprimere l’emozione che non riuscivo a tirare fuori in altro modo».
I nostri talenti come un fiume in piena
Un’emozione che si ricongiunge a quel che Monica fa di mestiere, ovvero accompagnare giovani e meno giovani nella ricerca e conoscenza di sé. «Ognuno di noi ha dentro di sé un fiume in piena – spiega -. Sono i nostri talenti, ciò che costituisce la nostra vocazione. Hanno la stessa forza di un fiume in piena: irrompono in noi e se li conosciamo ci permettono di dare un senso alla nostra chiamata. Volevo esprimere qualcosa di simbolico che però racchiudesse qualcosa di positivo, soprattutto per i bambini, per questo il racconto è illustrato».
Un racconto quindi che cerca di vedere il mare non solo come ciò che raccoglie un fiume distruttore, ma anche come ciò che permette di trasformare una piena nella pienezza di una risposta che mette a servizio degli altri le proprie capacità, piccole o grandi che siano, per avere un domani migliore. Dopo il disastro arriva pian piano il tempo di capire e di guardare a ciò che è stato pensando a come sarà. Lo sanno fare i bambini, che in questi giorni hanno compreso la gravità di quanto è successo cercando di prendersi cura a vicenda gli uni degli altri: tantissimi i giocattoli arrivati nei centri di accoglienza delle famiglie sfollate, i disegni. E poi quel che fa meno rumore ma c’è: l’amicizia timida e sincera che nelle classi delle scuole mette radici, che parla con le manine che si stringono, con i piccoli ometti che si abbracciano, con le bambine che si infilano gli stivali. Tutto ciò esiste e, anche se non costituisce parte dei fondi economici di cui c’è davvero bisogno, porta fiducia nel domani. Ci permette di sapere che c’è chi tra anni saprà prendersi cura di questa città e di questo territorio.
l.d.d.