Ci sono situazioni in cui le distanze si riducono e si creano occasioni di incontro preziose. Spesso sono le circostanze difficili, le emergenze, a creare queste relazioni. Quello tra prof e alunno è un rapporto educativo fondamentale di cui abbiamo parlato tanto su questo giornale. Torniamo a discuterne in occasione degli Esami di Stato che sono iniziati in questi giorni. Abbiamo chiesto al prof. Filippo Scocca, docente di tecnologia e progettazione all’Itip Bucci di Faenza, di raccontarci come è stato l’ultimo periodo di scuola e quali sono le ansie dei maturandi.
Intervista al docente Filippo Scocca
Scocca, come è stata accolta la decisione di togliere scritti dall’esame?
La notizia, arrivata dopo la fine della scuola, non ha trovato un grande accordo. Per qualcuno può sembrare una semplificazione, ma sostenere solo l’orale crea spaesamento. Questo perché i ragazzi vengono da uno studio basato su prove scritte ed esercizi, soprattutto in un istituto tecnico. Pensando alle seconde prove di materie tecniche che devono essere ridotte al colloquio, spiegare l’applicazione di un concetto solo oralmente è complicato: spesso richiede calcoli, formule, grafici. L’assenza di prove scritte fa perdere qualità all’esame e rende anche più difficile la valutazione con 60 punti da giocarsi in un orale. Bisogna valutare gli studenti in un’ora e questo può far andare in crisi anche chi ha lavorato bene durante l’anno. Come docente penso che, pur essendo una decisione difficile, altre soluzioni sarebbero state più efficaci. Credo che la presenza di una commissione solo interna potesse andare nel concreto più incontro ai ragazzi.
Che cosa lascia l’alluvione a ragazzi e prof?
Per i ragazzi è stata un’emergenza a cui rispondere mettendosi al lavoro. È stata una risposta naturale e persino il rientro in classe è stato percepito come qualcosa che distogliesse dall’aiuto. Io però penso che la scelta di tornare a scuola sia stata giusta. Abbiamo riaperto facendo solo ripasso e recupero, ma la mossa vincente è stata aiutarci tra di noi. Trovarsi nello stesso posto, guardarsi e sentirsi guardati, sapere che gli altri ci sono. È stata un’occasione per incontrarci più da vicino; tutti i momenti forti, come il covid e l’alluvione, ci fanno mettere in gioco. Ci portano a far ciò che sarebbe bello riuscire a far sempre: trovarsi nell’incontro educativo a raccontare ciò che si sta vivendo e imparando aprendosi al dialogo, che è una componente fondamentale in classe.
Che cos’è secondo lei l’Esame di Stato o cosa dovrebbe rappresentare?
Direi che dovrebbe essere un po’ una chiusura del cerchio, mi piace immaginarlo come il momento in cui si fa la somma del percorso mettendo insieme tutti i pezzi, portando il tecnico e la persona che sei diventato, l’adulto che stai diventando, a qualcuno che possa non tanto valutarlo quanto venirne a conoscenza. Alla fine una valutazione ci deve essere, ma sarebbe bello se questa fosse non tanto e solo su conoscenze accumulate come pacchetti, ma su quanto un ragazzo sia riuscito a mettere insieme le cose per creare una comprensione e un modo di porsi come adulto, sia dal punto di vista tecnico che relazionale.
di Letizia Di Deco