Cento anni fa, il 27 maggio 1923 nasceva a Firenze don Lorenzo Milani. Chi ha vissuto la sua gioventù alla fine degli anni ’60 ricorderà per tutta la vita la sua figura e il libro “Lettera a una professoressa” scritto insieme ai suoi ragazzi di Barbiana, nel Mugello, in provincia di Firenze, dove aveva costituito in un posto sperduto la sua scuola popolare per giovani operai e contadini.

Lorenzo, madre ebrea, fa parte di una laica, raffinata, ricca e colta famiglia fiorentina di scienziati e cattedratici; conosce bene il valore della cultura ed ha una passione: la pittura. Dopo la maturità classica, Lorenzo scopre la sua vocazione: si converte così al cattolicesimo. Nel 1943 entra in seminario, anche se la sua famiglia non approva la sua scelta religiosa: il 13 luglio 1947 viene ordinato sacerdote. Nell’ottobre 1947 viene nominato cappellano nella parrocchia di S. Donato a Calenzano, alle porte di Firenze. Si trova a operare in una realtà rurale arretratissima: i suoi parrocchiani sono braccianti, pastori ed operai, perlopiù analfabeti. Don Milani si convince che sia dovere della Chiesa occuparsi dell’istruzione dei suoi fedeli, soprattutto dei più deboli.

Maestro, dunque, prima ancora che prete: è l’intuizione di Don Milani. È qui che fonda la scuola popolare e che inizia il suo impegno: dare alla gente, di cui è spiritualmente responsabile, il massimo possibile di conoscenza, ma soprattutto di capacità critica. È un uomo scomodo, esigente, provocatore e, per questo suo carattere, viene isolato e nominato priore di Barbiana, un piccolo paesino sui monti del Mugello: 124 abitanti in tutto, una chiesa, una canonica, un cimitero e una manciata di case sparse sui monti.

Appena arrivato Don Milani fa un gesto simbolico: costruisce dal nulla la sua scuola popolare per giovani operai e contadini. Si preoccupa di aiutarli a liberare la loro dignità e la loro cultura attraverso la parola per essere meglio in grado di affrontare le difficoltà della vita. Quella di Barbiana è una scuola all’avanguardia; si studiano le lingua straniere: l’inglese, il francese, il tedesco e persino l’arabo. Si organizzano viaggi di studio e lavoro all’estero. Egli spesso tiene lezioni di recitazione per far superare le timidezze dei più introversi e costruisce una piccola piscina per aiutare i montanari ad affrontare la paura dell’acqua.

Il motto della scuola di Don Milani è: I care, ovvero mi riguarda, mi sta a cuore, mi prendo cura. Alle pareti è appeso un mosaico fatto dai ragazzi della scuola; raffigura un ragazzo con l’aureola intento a leggere un libro. Nel 1967 don Lorenzo Milani scuote la Chiesa e tutta la società italiana con il libro: “Lettera a una professoressa”, scritto insieme ai suoi ragazzi. Il libro denuncia l’arretratezza e la disuguaglianza presenti nella scuola italiana che, scoraggiando i più deboli e spingendo avanti i più forti, sembra essere ispirata da un principio classista e non di solidarietà; un atto d’accusa verso l’intero sistema scolastico.

Dopo la morte di don Lorenzo il libro diviene un caso letterario, uno dei testi sacri del ’68 italiano, diventando un simbolo di cambiamento per una scuola veramente per tutti. A causa di una grave malattia, don Lorenzo si spegne, a soli 44 anni, il 26 giugno del 1967. Le ultime parole del suo testamento sono ancora una volta per i suoi ragazzi: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho la speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto.” Ci ha insegnato che si può cambiare il mondo stando in cima ad un monte.

Tiziano Conti